Val Tramontina: si può ancora parlare di utilizzazione agraria del suolo?

Nell’alto Pordenonese si nota nella zona di Meduno una interruzione nelle alture che limitano a nord la pianura friulana: si tratta dello sbocco verso la pianura della Val Tramontina. La valle è poco conosciuta causa la sua posizione marginale, ma i panorami che essa offre a chi si è addentrato sono tali da invitarlo ad una più accurata visita.

La valle costituisce il tronco montano del bacino idrografico del torrente Meduna, che con i suoi affluenti ha dato luogo ad una serie di valli dalla tipica morfologia d’erosione. Caratteristica di questa area delle Prealpi Carniche è la conca dei Tramonti sulle cui terrazze alluvionali sono situati i tre centri abitati da cui riceve il nome la valle: Tramonti di Sotto, Tramonti di Mezzo e Tramonti di Sopra. Nel secondo dopoguerra la Saici ha realizzato lungo il corso del Meduna una serie di bacini idroelettrici, che costituiscono una nota nuova rispetto al paesaggio che precedentemente dominava. Infatti la presenza dell’uomo fra questi monti ha modificato relativamente le amenità della natura fino all’attuazione di questi laghi che, se si escludono i periodi di magra, durante i quali appaiono squallidi, hanno dato vita ad un paesaggio lacustre di cui non facilmente si scopre l’artificialità.

Diversi indizi fanno risalire ad epoca preromana l’origine dell’insediamento umano nella valle, ma con sicurezza si sa che essa cominciò ad essere densamente popolata intorno al secolo X quando parte della popolazione friulana per sfuggire agli Ungari, che annualmente infestavano la pianura, si ritirò nelle zone non facilmente accessibili.

Le genti che qui si stabilirono, si dedicarono per il proprio sostentamento alle attività rurali che modificarono tipicamente il paesaggio naturale. Queste attività hanno lasciato la loro impronta anche sul tipo delle dimore dei Tramontini: infatti quasi tutte le case di costruzione non recente sono tipiche abitazioni rurali. Nella maggioranza esse ricalcano i tipi architettonici presenti nelle Prealpi Friulane, ma si trovano due specie di case rurali che è interessante esaminare. Il primo è un adattamento locale della casa carnica; esso presenta un portico sorretto da due o tre archi a tutto sesto, che poggiano su colonne arrotondate; al primo piano gli archi, in proporzioni minori, si ripetono in numero doppio e danno luce ad una loggia da cui si accede alle singole camere ed al solaio che prende luce da aperture ovoidali che si aprono, anch’esse sulla facciata principale. Gli archi sono talvolta presenti anche nel rustico che non sempre è separato dall’abitazione. Il secondo tipo architettonico, che sommariamente descriviamo, è tipico della Val Tramontina. Esso si può considerare una sintesi operata dalle esigenze del luogo fra la casa carnica, la casa cassana (I) e la casa dominicale dell’alta pianura. Il portico è vasto e presenta due o più arcate che hanno la loro chiave di volta aggettante e una cornicetta alla base. Al primo piano vi è una loggia a cui danno luce, come nella casa carnica, alcuni archi, simili a quelli del portico ma più piccoli, che si ripetono in numero doppio più una unità rispetto il pianoterra. Il solaio ha delle luci ovoidali che si aprono sul retro o sui muri laterali della casa; il rustico in questo tipo di dimora è sempre distaccato dall’abitazione e presenta anche esso, in molti casi, un portico con archi a sesto fortemente ribassato. Questi due tipi di case rurali risalgono al secolo XVI e sarebbe opportuno che fossero oggetto di una adeguata protezione.

Le dimore più recenti non presentano invece peculiarità così accentuate ed hanno caratteri che si avvicinano sempre più al tipo della casa cittadina. Il fenomeno della deruralizzazione si è reso più evidente da quando nella valle sono apparsi i primi esempi modesti di ville, tipo di dimora legato o alle attività turistiche o ad un genere di vita che non trova il suo diretto sostentamento nelle attività rurali.

Da queste constatazioni è sorto. in noi l’interesse ad esaminare la situazione attuale dell’economia rurale tramontina. Prima di ogni altro discorso in merito è doveroso far presente che la zona dei Tramonti è una delle aree della Montagna Friulana più colpite dal fenomeno migratorio.

L’utilizzazione del suolo sia nel campo strettamente agricolo che in quello silvo-pastorale, con un’intensità e con indirizzi qualitativi che dipendono in parte dalle stesse condizioni fisiche ma in buona parte anche dalla densità e dalle caratteristiche culturali della popolazione, ha modificato parzialmente l’aspetto naturale della valle.

L’economia rurale costituisce una unità sintetica, un insieme in cui le divisioni fra agricoltura, allevamento e silvicoltura rappresentano non altro che un mezzo pratico per facilitare l’esame delle condizioni locali (2).

 

L’agricoltura

L’ambiente non è in complesso favorevole allo sviluppo dell’agricoltura sia per la sua morfologia accidentata sia per la scarsità dei terreni agrari, aggravate dagli eccessi del clima e della idrografia. Le modeste risorse naturali, sia di carattere geopedologico che vegetale, sono poi di grande vulnerabilità e di difficile conservazione, per cui si notava un loro rapido impoverimento che, al principio di questo secolo, era in contrasto con l’accrescimento dei bisogni della popolazione.

Ne è derivato uno scadimento progressivo delle utilizzazioni con rendimento decrescente, a cui invano si cercò di porre riparo con un allargamento delle aree utilizzate.

Il carattere dell’agricoltura, ormai diventata una attività marginale è prevalentemente silvo-pastorale: boschi di conifere e latifoglie nell’alta montagna, prati e pascoli con qualche seminativo nelle zone meno elevate. L’elemento climatico, che limita lo sviluppo vegetativo e quindi la produzione agricola della valle, è dato dalla forte nebulosità e dalle eccessive precipitazioni che determinano un abbassamento di 400-500 metri dei limiti altimetrici. Per comprendere quanto incidano queste condizioni sulla produttività della valle, si rifletta che ciò limita forzatamente l’altezza a cui possono spingere i centri abitati e le stesse dimore isolate permanenti: limita cioè la possibilità di trarre remunerativo prodotto e di bene utilizzare ampie zone montane, restringendo la fascia abitata, addensandone in assai più breve spazio la popolazione e riducendo le risorse alimentari di essa. In merito è utile considerare l’indice di popolamento nel 1969 calcolato sull’area produttiva della valle: esso con il suo valore di circa 21 abitanti per kmq denuncia una situazione di saturazione demografica nell’ambito di un sistema economico rurale; questa saturazione non balza così evidente invece nel caso che si consideri l’indice calcolato sulla superficie totale (10,6 ab. per kmq.).

Le possibilità colturali sono influenzate anche dalla speciale morfologia delle valli laterali, derivante dall’asimmetria delle pieghe, fortemente inclinate verso sud. I versanti meridionali sono perciò ripidi e scoscesi, denudati in alto e insidiati in basso dalle cola- te detritiche e presentano limiti altimetrici particolarmente abbassati. I· versanti settentrionali, esposti a sud, hanno invece pendenze minori e più uniformi e una copertura terrosa cospicua che permette lo sviluppo dei prati e dei boschi ma non quella dei seminativi.

I terreni agrari hanno per lo più tinte giallastre o brunastre, talvolta anche nere, quando la sostanza organica è più ricca, con reazioni generalmente subalcaline derivanti dal loro scheletro calcareo, che permette la circolazione delle acque, ma non è suscettibile di dare buoni terreni agrari (3).

La stabilità e la resistenza dei terreni ai fenomeni erosivi è in complesso molto scarsa, sia per i caratteri geolitologici e morfologici dei versanti che per la insufficiente copertura boschiva e la poca efficienza di quella erbacea, aggravata dalla particolare intensità delle precipitazioni. Ora sono in corso di attuazione lavori di irrobustimento dei terreni da parte del Consorzio di Bonifica Cellina – Meduna e dell’Ispettorato Forestale, ma fino a poco tempo fa l’unico fattore naturale, che tendeva a smorzare l’attività delle acque selvagge era rappresentato dalla diffusa permeabilità dei terreni.

La popolazione, essendo vissuta isolatamente, ha avuto uno sviluppo culturale piuttosto lento, per cui sono mancati quegli interventi organizzativi della utilizzazione del suolo, che avrebbero potuto conservare il suo equilibrio naturale e le sue risorse. Il sistema feudale prima e la speculazione commerciale poi hanno fatto della valle un’area di semplice sfruttamento.

L’indirizzo agricolo del passato era eminentemente policolturale e tendeva a realizzare in primo luogo l’autosufficienza alimentare. Il quadro attuale delle colture si limita a singoli appezzamenti coltivati ad orto in cui predominano le patate e le leguminose. Buona parte della superficie agraria è riservata alle coltivazioni foraggere mentre sono praticamente trascurate quelle cerealicole. In forte regresso risultano pure le aree destinate ai pascoli, mentre maggior attenzione viene dedicata alle colture silvestri.

La Val Tramontina risulta per il 37,6 % del tutto improduttiva (in confronto al 33,5 per cento delle Prealpi Carniche e al 29,4% della Montagna Friulana); il 30,6% è utilizzato a bosco mentre il 15,4 % costituisce la zona agricola (seminativi, prati e pascoli); il rimanente 16,4% costituisce l’incolto, produttivo, che rappresenta l’entità dell’abbandono delle attività agricole. I seminativi rappresentano appena lo 0,9% della superficie della vallata.

La popolazione occupata nell’agricoltura (305 unità nel 1961) rappresenta circa il 38,5% per cento della popolazione attiva, ma si deve calcolare che in realtà la maggior parte di queste persone ha come principale una seconda occupazione, non dichiarata allo stato civile, all’interno o all’esterno della valle (4). .

Il regime fondiario presenta, come in tutta la regione prealpina, i caratteri del frazionamento e della dispersione ed il contrasto fra le piccole proprietà coltivatrici e le gran- di proprietà silvopastorali. Al primo censi- mento dell’agricoltura nel 1961 sono state registrate nella valle 550 aziende con una ampiezza media di 4,53 ettari. Le aziende più diffuse sono quelle comprese fra i 0,5 e i 3 ettari, che dispongono di una piccola quota di seminativo, di prato e di bosco e possiedono generalmente una bovina da latte. Meno numerose invece quelle che hanno da 3 a l0 ettari, con un carico bovino medio di due capi lattiferi. Quasi la totalità dei proprietari sono coltivatori diretti. Non sono rari i casi in cui le aziende sono costituite da numerose particelle, generalmente discontinue. Queste aziende non sono mai autonome, sia per lo squilibrio esistente fra le forze di lavoro della famiglia e il fabbisogno aziendale sia per l’impossibilità di far quadrare i bilanci familiari con lo scarso reddito ottenuto.

La coltivazione dei campi è praticata con mezzi rudimentali e tecniche ancora arretrate, anche a causa della morfologia e delle piccole dimensioni aziendali che non consentono l’impiego di macchine agricole. Non essendo possibile fare più di un raccolto all’anno sullo tesso terreno, ciò aumenta i costi di produzione, così da rendere costantemente passivi i bilanci colturali e più che mai intollerabile la pressione fiscale. Le coltivazioni si susseguono sempre sugli stessi appezzamenti senza una rotazione regolare. Nel passato veniva praticata una,consociazione di granoturco, legumi e patate in forme bizzarre, che assicurava assieme alle sporadiche letamazioni una certa conservazione della fertilità del suolo.

Il quadro d’insieme delle attività agricole della valle è poco roseo e ciò è confermato dai tecnici dell’ERSA che non hanno incluso la Val Tramontina nei loro piani di sviluppo trattandosi di una area che non è suscettibile di alcun sviluppo agricolo. Questa considerazione viene mitigata dalla possibilità di futuri studi per promuovere colture specializzate che trovino in loco un habitat favorevole; questi eventuali progetti saranno condizionati dalla presenza in valle di un gruppo di agricoltori qualificati.

 

La zootecnia

Data la povertà dei terreni l’agricoltura è stata sempre legata alla pastorizia onde poter allargare le entrate delle aziende. I foraggi migliori provengono dai prati esposti a solatio, dove dominano le leguminose, mentre in quelli meno soleggiati prevalgono le graminacee. Nei prati di valle si fanno due sfalci, in quelli di monte uno solo, ma la loro produttività è molto varia e dipende soprattutto dalle irrigazioni e dalle letamazioni. Molti prati sono del tutto abbandonati sia per l’esodo delle famiglie che per lo sfollamento delle stalle. Nei prati di monte la fienagione è resa difficile e faticosa dalla orografia e dai lunghi trasporti a spalla; soltanto recentemente sono state installate all’uopo alcune teleferiche. Nella valle non si usano le seccaiole per asciugare il fieno causa la forte piovosità, che induce a portarlo appena sfalciato al coperto, dove viene disteso per l’essiccazione. I pascoli sono diffusi un po’ ovunque nelle zone alte della valle: essi vengono utilizzati per l’alpeggio estivo, ma al presente, se si escludono quelli del Monte Rest, sono tutti abbandonati.

Nel passato il patrimonio zootecnico era caratterizzato dalla preminenza degli ovini e dei caprini, che hanno contribuito all’impoverimento del mantello vegetale. Oggi queste specie sono molto ridotte, sia per il deprezzamento della lana che per i numerosi vincoli forestali, mentre si è consolidato l’allevamento bovino, ritenuto remunerativo ma soggetto a contrazione per effetto dell’emigrazione e della deruralizzazione.

L’alpeggio nel passato era praticato molto estesamente allo scopo di migliorare il patrimonio zootecnico e di integrare le risorse foraggere di fondovalle (chiamate «beni di inverno» poiché servivano all’alimentazione del bestiame durante la stagione fredda) con quelle di monte. La riduzione dei capi e l’abbandono di molti seminativi rende oggi abbondanti anche le risorse di valle, cosicché l’alpeggio ha perduto l’importanza di un tempo. Il miglioramento qualitativo dei capi, la loro minore adattabilità alla vita di malga, nonché l’aumentato consumo di latte, contribuiscono a trattenere il bestiame nel fondovalle. D’altra parte anche le malghe offrono sempre minori disponibilità di foraggio, mentre sempre più costose si fanno le manutenzioni degli edifici e delle vie di accesso e più difficile e oneroso il reperimento del personale.

Ai primi di giugno il bestiame viene portato per l’alpeggio ai pascoli di alta montagna dove si trovano le malghe, chen’e1la valle sono tutte localizzate nella fascia fra i 1.000 e i 1.500 metri. Ma nel passato l’alpeggio cominciava all’inizio della primavera con il trasferimento degli animali dalle stalle di fondovalle agli stavoli di mezza montagna, da dove in giugno venivano portati alle malghe. Gli stavoli veri e propri sono pochi nella valle mentre sono diffuse le stalle isolate, che impropriamente vengono chiamate stavoli. Rispetto le altre vallate delle Alpi orientali i limiti altimetrici delle malghe sono molto bassi, tuttavia in esse si godono condizioni di alta montagna.

Delle ventiquattro malghe esistenti ora funziona soltanto quella del Monte Rest, che è divisa in due comparti (Somp la Mont, comparto basso a m. 1060, e Rest, comparto alto a m. 1500).

Una caratteristica dell’ambiente pastorale tramontino sono le pozze artificiali d’acqua, che sono presenti nelle vicinanze di ogni malga e sparse qua e là per i pascoli: infatti la grande maggioranza delle malghe non presenta alcuna sorgente nelle vicinanze e la permeabilità dei terreni consiglia di ricorrere a dette pozze, o a cisterne che vengono riempite con l’acqua delle piogge incanalata dagli scoli dei tetti dei ricoveri, per il rifornimento idrico del bestiame. Queste pozze, che vengono riempite dalle precipitazioni, sono formate da diversi strati di foglie, ricoperti da terriccio, che vengono pressati in una buca in modo da ottenere una superficie concava impermeabile.

 

La silvicoltura

Le attività agricole e quelle pastorali sono sempre collegate con quelle silvestri. I boschi, ancora abbondanti nella valle, nel passato erano uno dei principali sostegni dell’economia locale. Attualmente la superficie forestale tende ad aumentare grazie ai rimboschimenti, ma le condizioni silvocolturali sono precarie causa le eccessive utilizzazioni del passato.

La deforestazione, dovuta sia ad inconsulto sfruttamento del bosco sia alla necessità di aprire nuovi terreni all’agricoltura o al pascolo, ha portato ad una notevole riduzione delle aree forestali causando la degradazione fisica delle zone naturalmente boschive. Per ovviare a tali danni è stata imposta una limitazione alla deforestazione e praticato un razionale sfruttamento delle ricchezze forestali residue, non solo, ma si cerca di ricostituire, almeno in parte, i boschi distrutti.

I. primi diboscamenti risalgono al periodo in cui l’uomo si insediò nella vallata. Dopo le deforestazioni del periodo patriarcale e lo sfruttamento commerciale del periodo veneto, subentrò un regime vincolistico promosso prima dall’amministrazione austriaca ed accentuato poi da quella italiana con la legge forestale del 1877. Il patrimonio forestale era però già seriamente compromesso e dei bei boschi che esistevano all’inizio del dominio veneto rimanevano ancora dei residui nelle convalli più rappartate. Gli effetti della nuova legislazione furono ‘però seriamente compromessi dalle due guerre mondiali, durante le quali furono attenuati i controlli delle gerarchie forestali per cui i boschi vennero smodatamente sfruttati, anche grazie alla messa in opera di alcune teleferiche che facilitavano il trasporto del legname, il quale precedentemente raggiungeva il fondovalle solo con laboriosi lavori di fluitazione.

Lo sfruttamento metodico delle foreste ha costretto i boschi entro limiti ben netti, ma che debbono considerarsi artificiali: così quelli superiori, verso le zone dei pascoli di alta montagna, come quelli inferiori, a contatto con le zone coltivate ed abitate dei fondovalle.

L’ambiente è favorevole alle colture boschive più che nelle altre valli delle Prealpi Carniche: i terreni sono profondi, le precipitazioni abbondanti, i versanti in media non eccessivamente pendenti. Di conseguenza è stato promosso, specie dopo la seconda guerra mondiale, il rimboschimento che è stato intrapreso sia da privati che da enti pubblici. Nella realizzazione del rimboschimento vi è un programma di rotazione; infatti sono state piantate specie arboree (pino nero, pino silvestre, carpino, ontano) capaci di preparare il terreno per specie di maggior pregio (abete rosso, larice) che fra cinquanta – cento anni potranno sostituire gli attuali complessi di latifoglie ed aghifoglie trovando il terreno adatto per le loro esigenze. E’ doveroso ricordare che i lavori di rimboschimento hanno avuto una benefica azione sulla regolazione dei deflussi, attenuando i fenomeni alluvionali ed erosivi. Inoltre nell’opera di rimboschimento vi è una coincidenza fra esigenze coltura li ed esigenze turistiche: infatti un futuro sviluppo turistico nella valle è strettamente legato alla conservazione e allo sviluppo dell’ameno ambiente silvestre.

Causa il clima e le diverse ‘condizioni di esposizione dei singoli versanti nelle valli laterali non esiste una precisa distinzione delle zone fito-climatiche: causa non ultima di questo disordine vegetale sono da considerarsi anche i diboscamenti del passato.

Nell’insieme del patrimonio forestale prevalgono le latifoglie, per lo più tenute a ceduo, che coprono quasi la metà della superficie forestale. Le aghifoglie ne costituiscono un quarto, mentre il resto è formato da boscaglia mista.

Lo sfruttamento del bosco attualmente è da considerarsi nullo poichè le diseconomie riscontrate in questo settore sono tali da consigliare sia i proprietari che gli eventuali affittuari a sospendere le utilizzazioni dei boschi eccessivamente impoveriti nel periodo bellico e postbellico, fin tanto che non si avranno i benefici effetti dei rimboschimenti.

In conclusione l’utilizzazione agricola del suolo, pur interessando una vasta superficie e un rilevante numero di addetti, non ha oggi il valore che aveva nel passato e caratterizza sempre di meno il genere di vita dei tramontini sia per la scarsa convenienza economica delle colture nell’ambiente montano che per la tendenza dei valligiani ad emanciparsi dalla dura vita rurale. Al regresso dei seminativi e dei pascoli corrisponde però una tendenza espansiva del bosco, favorita dallo spopolamento, che potrà a lungo andare ripristinare l’equilibrio idrogeologico del passato, ricostruire il manto forestale così fortemente alterato e fare delle foreste il pilastro di una nuova economia montana (6).

OSVALDO DE CASTRO

( I) Della «casa cassana» si parla a pago 52 della monografia di G. Valussi intitolata «Paesaggi e generi di vita della Valcellina », Università degli Studi di Trieste, Laboratorio di Geografia della Facoltà di Magistero, 1963.

(2) Toschi U., Geografia Economica, Utet, Torino, 19′)’). pago 63.

(3) Gortani M., La Montagna friulana zona depressa, Comunità Carnica, Tolmezzo, 1961, pag. 5.

(4) I dati statistici riportati si riferiscono in buona parte ai censimenti del 1961: essi debbono essere considerrati con la dovuta cautela poiché in questi anni In situazione demografica è mutata.

(5) Feruglio E., Il diboscamento ed il trasporto del legname in Friuli, sta in In Alto, XXXIII, 1-3, pago 52. (6) Valussi G., Paesaggi e generi di vita della Valcellina,

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