Comunità montane e decentramento amministrativo

AUTONOMIA E COMPETENZE DEI NUOVI ENTI SOVRACOMUNALI: CONSIDERAZIONI SUL CONVEGNO DI TOLMEZZO
In un convegno tenuto si a Tolmezzo, a Palazzo Campeis, sede della Comunità montana della Carnia il 4 ottobre 1975, sono stati esaminati i problemi inerenti alla vita delle Comunità montane nella nostra regione. Il convegno è stato promosso dalla stessa Comunità carnica per mettere a fuoco le difficoltà incontrate dalle singole comunità nella loro fase costituente e per cercare di trovare una linea comune di azione.

Il dibattito si è svolto sulla falsariga di una circolare inviata ai presidenti delle comunità montane dall’Assessorato regionale degli Enti locali in merito alla delega di funzioni della Comunità ad altri Enti ed alla delega di funzioni di altri Enti alla Comunità, circolare che indirettamente richiama il principio costituzionale in base al quale le Province e i Comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principi fissati da leggi generali dello Stato, che ne determinano le funzioni. Le Comunità montane nella loro attività si trovano quindi limitate da questo principio costituzionale, che è valido anche nei confronti delle altre entità giuridiche aventi individuazioni territoriali in attuazione di leggi statali, quali possono essere i Consorzi di bonifica montana, ed in attuazione di leggi regionali, quali possono essere i comprensori urbanistici.

Nel corso del convegno, presidenti e rappresentanti delle Comunità hanno esposto i problemi sorti nella procedura di approvazione dello statuto delle singole Comunità in merito all’istituto delle deleghe, e si è riscontrato che sarebbe stato opportuno procedere ad un incontro preventivo per concordare uno statuto comune in cui puntualizzare le competenze delle Comunità in correlazione con gli Enti preesistenti,

La Comunità montana è prevista dalla legge 3 dicembre 1971 n. 1102 che, richiamandosi all’articolo 44 della Costituzione, dispone nuove norme a favore della montagna per un più razionale sfruttamento del suolo e per stabilire rapporti sociali più uniformi in tutto il Paese. La legge 1102 demanda ai legislatori regionali il compito di emanare le sue norme di attuazione. Nella nostra regione i territori riconosciuti montani sono stati ripartiti in dieci zone omogenee con decreto del Presidente della Giunta regionale n. 0145 del 16 gennaio 1974, in esecuzione dell’articolo 2 della legge regionale 4 maggio 1973 n. 29, che detta le norme di attuazione nel Friuli Venezia Giulia della legge 1102.

Le Comunità montane sono scaturite dall’esperienza maturata con una serie di interventi legislativi a favore delle zone montane fra i quali è da ricordare la legge 25 giugno 1952 n. 991, il cui articolo 1 è stato modificato con l’articolo unico della legge 30 luglio 1957 n. 657, che dispone dei provvedimenti tesi a migliorare le condizioni economico sociali dei territori montani. Nel quadro degli interventi promossi dalla legge 991 è stato emanato il D.P.R. lO giugno 1955 n. 987 il cui articolo 13 prevede la possibilità che i Comuni riconosciuti montani e inclusi in una zona riconosciuta omogenea si costituiscano liberamente in Consorzio permanente denominato «Consiglio di valle» o «Comunità montana».

Le Comunità montane, come previste dalla legge 1102, sono enti sovracomunali di carattere istituzionale superiore ai tradizionali Consorzi fra Comuni che, salvo i casi dei Consorzi coattivi, derivano la loro esistenza dalla volontà dei Comuni su cui insistono. Le Comunità montane hanno vita per volontà del legislatore che ha loro assegnato competenze che non si riscontrano nella legislazione di altri enti sovracomunali. Esse sono infatti investite di una competenza primaria in materia di programmazione economica e di una competenza consultiva e concorrente in materia di pianificazione territoriale, che implica una autonomia di direttive politiche tale da comportare l’elezione a suffragio popolare dei loro organi. Questa tesi viene ad essere avvalorata dal fatto che i componenti degli organi delle Comunità sono i consiglieri dei Comuni che hanno parte nelle Comunità, i quali sono già impegnati a presenziare nelle commissioni comunali e nelle varie rappresentanze del Comune. Ad ulteriore avvallamento di questa proposta vi è da considerare anche che il nuovo ente, dati i suoi fini istituzionali, ha la facoltà di sovrapporsi e sostituirsi, ove possibile, alle Amministrazioni comunali che in molte circostanze dimostrano di non essere in grado di soddisfare autonomamente le esigenze dei servizi sociali della popolazione.

Il sistema di individuazione delle Comunità montane, se applicato anche nelle zone non montane del nostro Paese, potrebbe dar luogo, con il conforto del secondo comma dell’articolo 129 della Costituzione, ad un nuovo tipo di decentramento amministrativo senza rivoluzionare l’attuale ripartizione del territorio nazionale. Con la costituzione su tutto il territorio nazionale di comunità omogenee si potrebbero assorbire tutte le realtà intercomunali sorte, talvolta anche disorganicamente, per migliorare le condizioni di vita delle genti che esplicano la loro attività nei singoli circondari.

L’istituzione delle Comunità montane implica di per sé stessa la revisione della circoscrizione e la posizione giuridica degli enti e consorzi di bonifica montana già operanti nel loro ambito.

Questo discorso riveste una particolare importanza per quanto riguarda i Consorzi di bonifica montana costituiti nella nostra regione, poiché le iniziative di questi enti concernenti le opere di sistemazione idraulico-forestale, sono attuate con una ottica che trascende i limiti delle zone montane.

Le opere idraulico-forestali dirette dai Consorzi vengono studiate nell’ambito di un intero bacino idrografico in cui è stata inclusa più di una Comunità montana.

Nel corso del convegno di Tolmezzo si è tenuta in evidenza questa esigenza di non disperdere in questo settore i positivi interventi dei consorzi di bonifica montana, che quindi non si devono aprioristicamente voler sopprimere. Si tenga infatti presente quali benefici può apportare una politica di sistemazione idraulico-forestale coordinata su di un intero bacino idrografico, invece che studiata distintamente alcuni suoi tronchi, per limitare e prevenire gli effetti dannosi di eccezionali meteore.

In ogni caso la creazione delle Comunità montane rientra nell’ottica di una politica di riequilibrio degli scompensi esistenti tra la situazione economica e sociale delle aree di concentrazione degli insediamenti e la situazione economica e sociale delle aree di ulteriore impoverimento dei territori di esodo.

La possibilità di promuovere una ripartizione territoriale secondo i criteri stabiliti per l’individuazione delle Comunità montane è stata proposta, ma ancora non attuata, dal nostro legislatore regionale con la previsione dei comprensori urbanistici effettuata dalla legge regionale 9 aprile 1968, n. 23 e successive modificazioni. In questo contesto sarebbe però da riordinare e coordinare meglio la legislazione regionale sui piani zonali di valorizzazione agricola previsti dalla 1.r. 18 luglio 1967 n, 15 e successive modificazioni, sull’unificazione dei presidi sanitari di base promossa dalla 1.r. 12 dicembre 1972 n. 58 e sui bacini di traffico istituiti con la 1.r. 6 settembre 1974 n. 47. Il nostro discorso si inserisce quindi, con i benefici dello statuto speciale di cui gode la nostra Regione, nella «ratio» della legge 20 marzo 1975 n. 30 che detta disposizioni sul riordinamento degli Enti pubblici e della legge 22 luglio 1975 n. 382 che detta norme sull’organizzazione regionale e sull’organizzazione della pubblica amministrazione, menzionando anche le Comunità montare.

Le nuove circoscrizioni rivestiranno la funzione di minima unità territoriale di programmazione già riconosciuta alle Comunità montane dal punto c) dell’articolo 161 della legge 27 luglio 1967 n. 685. Questa attribuzione di funzioni di programmazione a delle entità territoriali sovracomunali nella nostra regione è stata oggetto della 1.r. 27 agosto 1965 n. 17, che prevede gli organi e le procedure per la programmazione regionale, nonché dalla 1.r. 20 agosto 1968 n. 29, che istituisce il Comitato regionale economico sociale: le due leggi menzionate sono state modificate dalla legge regionale 10 agosto 1970 n. 35, ma i risultati sono stati molto inferiori a quelli previsti.

Le Comunità montane, superata la loro fase costituente, dovranno provvedere alla predisposizione ed alla attuazione di un programma di sviluppo sulla falsariga di una politica di riequilibrio economico e sociale, nel quadro delle indicazioni del programma economico nazionale e dei programmi al riguardo devono essere tese alla valorizzazione di ogni tipo di risorsa attuale e potenziale, favorendo la preparazione culturale e professionale delle popolazioni montane, che svolgono un importante ruolo di presidio del territorio montano.

La falsariga su cui si dovrà dar corso al piano di sviluppo dovrà essere il mantenimento ed il miglioramento dell’ambiente naturale, sia per assicurare sane condizioni di vita che per conservare gli equilibri ecologici. A tal fine le Comunità si potranno anche avvalere degli strumenti offerti dalla legge 29 giugno 1937 n. 1497 e del relativo regolamento di attuazione approvato con R.D. 3 giugno 1940 n. 1357; che dettano norme per la protezione delle bellezze naturali.

Non dovranno inoltre essere trascurate le possibilità offerte dalla legge 1 giugno 1939 n. 1089 e dal regolamento approvato con RD. 30 gennaio 1913 n. 363 che disciplinano la tutela delle cose di interesse artistico e storico, che rivestono un ruolo non indifferente di attrazione dei movimenti turistici.

Nella predisposizione del piano di sviluppo si deve considerare che l’antropizzazione della terra deve essere rivolta alla sua razionale conquista e non al suo sfruttamento con una utilizzazione di rapina, che implica la scomparsa dei microambienti e la conseguente alterazione dei microclimi.

Lo sviluppo economico e sociale deve procedere nel rispetto dell’ambiente, che è costituito da un insieme di fenomeni naturali.

L’indice con cui si può calcolare il limite di carico dell’antropizzazione di un ambiente, lo si individua in relazione alle risorse idriche. Infatti quando si intaccano in qualsiasi modo le risorse idriche di un ambiente si dà il via ad un processo di trasformazione che si manifesta con alterazioni del mondo vegetale e in quello animale.

Parlando di sviluppo delle zone montane troppo spesso si tende a pensare solo allo sviluppo delle attività turistiche. Si .deve però tener presente che in certe zone il turismo non potrà affermarsi per la concomitanza di varie componenti naturali sfavorevoli.

Dove il turismo si afferma come fattore economico predominante bisognerà prevedere nella formulazione del piano di sviluppo una organica tutela a favore di tutti i settori che vengono interessati da questo fenomeno. Il legislatore regionale in merito ha già provveduto ad emanare la legge 25 agosto 1965 n. 16 e la legge 24 agosto 1967 n. 21 che dispongono provvedimenti per lo sviluppo del turismo con la concessione di contributi al fine di migliorare e incrementare gli impianti turistico-sportivi, il· patrimonio alberghiero e gli esercizi di ristorazione. Inoltre la predisposizione dei piani comunali di sviluppo per gli esercizi commerciali previsti dall’articolo 12 della legge Il giugno 1971 n. 426 e dei piani comunali di sviluppo per gli esercizi pubblici previsti dall’articolo 2 della legge 14 dicembre 1974 n. 524 dovrà essere effettuata oculatamente nell’ottica delle interdipendenze esistenti anche a livello internazionale e con direttive unitarie nell’ambito di ogni zona montana.

Dove il turismo non ha la possibilità di affermarsi o si afferma come fattore economico rilevante solo per pochi mesi all’anno, si deve impostare una politica di rivalutazione delle attività rurali cercando di superare gli individualismi che tendono a disperdere le unità lavorative. Una politica di favoreggiamento del cooperativismo darà i suoi benefici risultati sia nella qualificazione delle attività rurali facilitate dall’uso di macchinari, sia nella redditività del lavoro con l’aumento della produzione e con l’instaurazione di nuovi rapporti diretti fra produttore e consumatore.

Il piano di sviluppo, che ogni Comunità dovrà darsi, dovrà anche tenere in evidenza la possibilità di ammodernamento e ampliamento degli insediamenti industriali. Particolarmente nelle attività industriali (ma il discorso vale anche per ogni altra attività umana) si deve proibire che il progresso coincida con il deterioramento dell’ambiente. Una politica di sviluppo industriale specie nell’ambiente montano, non accompagnata da una organica lotta agli inquinamenti, implica dei danni agli equilibri naturali, i cui effetti si risentono anche fuori dei siti geografici ove si originano. Per evitare uno sviluppo disordinato degli insediamenti industriali i Comuni, per ottenere i contributi previsti dalla legge 19 agosto 1969 n. 31 per la costruzione di infrastrutture a servizio degli insedia menti industriali, devono adottare nelle zone industriali i piani per gli insediamenti produttivi previsti dall’articolo 27 della legge 22 ottobre 1971 n. 865. A favore delle attività industriali la nostra regione ha disposto diversi strumenti legislativi e in particolare per favorire l’allestimento di nuovi stabilimenti industriali nelle zone montane è stata emanata la legge regionale 30 settembre 1969 n. 35.

Il compito che spetta alle Comunità montane non è semplice, poiché più che nuovi posti di lavoro esse devono creare i presupposti per riqualificare le condizioni di vita. I paesi alpini tendono infatti a spopolarsi, come pure tendono a spopolarsi i piccoli centri agricoli della pianura, e di conseguenza in essi le risorse umane saranno sempre più limitate. L’emigrazione dalle zone montane è motivata dal fatto che l’ambiente montano per essere produttivo richiede tanto lavoro e procura poco reddito: di conseguenza da tempi ormai remoti i montanari erano spinti all’emigrazione per poter condurre una vita più decorosa.

L’emigrazione aveva avuto all’inizio caratteristiche stagionali, configurandosi con l’allontanamento temporaneo dei lavoratori he successivamente rientraèo -e avevano lasciato emigrazione a squilibri di carattere familiare, che hanno provocato l’abbandono dei paesi nativi anche da parte dei familiari dei lavoratori, dando così il via all’emigrazione a carattere permanente. Le tradizioni che i montanari si erano tramandati di generazione in generazione rischiano così di disperdersi nelle città, ove gli emigrati spesso si sentono trapiantati in un ambiente il più delle volte alienante. Per arginare l’emigrazione e per favorire il rientro degli emigrati nella predisposizione dei piani di sviluppo, le Comunità montane devono organicamente coordinare le connessioni esistenti fra tutte le attività economiche, smussando le loro implicazioni negative affinchè si possano creare migliori condizioni di vita nell’ambiente montano che si trova in molti casi in situazione di sottosviluppo se raffrontato con altre zone del nostro Paese.

problemi della nostra montagna

La montagna friulana ha ancora numerosi e gravi problemi da risolvere. Nell’elenco che segue indichiamo i più importanti:

Il dissesto idro-geologico; l’incuria nella preservazione degli habitat;
l’abbandono dei pascoli alti e la diminuzione, talvolta parallela, del patrimonio bovino;
la parcellizzazione dei fondi rustici;
la scarsa utilizzazione del demanio forestale;
il deterioramento delle condizioni abitative e lo sdoppiamento dei centri urbani comunali (vecchi e nuovi centri);
l’insufficiente commercializzazione dei prodotti agricoli ed artigianali locali;
la difficoltà delle comunicazioni intervallive;
l’entità della sottoccupazione; l’insufficiente dotazione di alcuni servizi;
le scarse attrezzature per l’impiego del tempo libero;
gli effetti squilibranti, in tema di rendite urbane, determinate dalla diffusione del turismo residenziale.

Osvaldo De Castro

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *