Agenti contabili nei domini collettivi – usi e terre civiche.

Quando mi è stato chiesto di fare due lezioni sulla materia degli Usi Civici nel contesto delle giornate di aggiornamento indirizzate al Tecnico del Patrimonio ho cercato di finalizzare i miei interventi su due argomenti di carattere pratico. Ho deciso di trattare il problema dell’Individuazione dei Beni Soggetti all’Uso Civico, considerando le difficoltà incontrate sul lavoro per individuare questi beni, e le problematiche che possono incontrare gli operatori della gestione separata degli usi civici per la qualifica di Agenti Contabili che ad essi deriva da compiti che svolgono, problematiche non ben conosciute anche da chi è addetto ai lavori. Inoltre, dato che è il Comune l’ente pubblico che direttamente sopraintende alla gestione degli usi civici, ho ritenuto opportuno inframmezzare i miei interventi con dei richiami alle norme ed alle procedure che disciplinano un Ente Locale.

Parlare degli usi civici non è semplice perché la normativa in materia è scarsa; inoltre vi sono due circostanze che complicano tale disamina: l’istituto dell’uso civico è a cavallo tra il diritto pubblico e quello privato, per cui non è semplice individuare la norma da applicare nel caso specifico; le modalità di svolgimento nell’uso civico inoltre variano da zona a zona e ne consegue che l’uso civico di Monrupino è molto diverso da quello di Campoformido (se andiamo fuori regione le cose si complicano ulteriormente).

L’Uso Civico è un istituto giuridico che si rifà ai tempi in cui i Comuni si erano sostituiti ai feudatari dell’epoca medioevale: ne consegue che il loro punto di riferimento è il Comune. La vecchia legge comunale e provinciale, prendendo atto dell’esistenza di questi diritti esercitati sulla gestione del territorio da parte degli abitanti delle frazioni, aveva previsto la possibilità di una gestione separata dei beni soggetti ad uso civico da parte di un commissario nominato dal prefetto. Una volta completata l’unificazione dello Stato il legislatore si è posto il problema di dare una composizione unitaria agli usi civici, che avevano una disciplina diversa da zona a zona. Scopo della legge 16 giugno 1927 n.1766 era accertare e liquidare agli aventi diritto gli usi civici, nonché di trasferire al patrimonio comunale quei beni soggetti ad uso civico che non erano divisibili.

La Costituzione repubblicana include fra i suoi principi l’autonomia degli enti locali e sulla scorta di questa ottica la gestione separata degli usi civici è stata affidata non più ad un commissario di nomina prefettizia ma da un comitato composto da cinque persone scelte nel proprio ambito dai frazionisti. Nel giugno del 1990 viene approvato finalmente il nuovo ordinamento delle autonomie locali (la legge n. 142): la nuova legge prevede che gli enti locali si dotino di un proprio statuto e di alcuni regolamenti, che hanno la peculiarità di sostituirsi alle disposizioni del vecchio testo unico, ove non richiamate nella legge n. 142. Completato il nuovo quadro normativo previsto da questa legge epocale, è stato approvato nel 2000 un nuovo testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (con il decreto legislativo n. 267]: dalla sua lettura emerge che la regolamentazione degli Usi Civici viene demandata ai singoli Comuni sul cui territorio sussistono questi particolari diritti a favore dei cittadini.

Il legislatore, considerando che le modalità di esercizio di questi diritti variano da luogo a luogo, ha lasciato alla normativa locale la regolamentazione sull’utilizzo dei beni civici e sull’individuazione degli aventi diritto. Questa è un’applicazione del principio della delegificazione: lo Stato lascia disciplinare la materia ai comuni; in questo caso siamo in presenza di una delegificazione implicita, in quanto questa potestà degli enti locali non è esplicitata in nessuna norma,- ma deriva dall’ordinamento giuridico che attribuisce al comune il dovere di garantire il benessere ai propri cittadini (legge n. 142) e che prevede che le operazioni di liquidazione degli usi civici avvengano per comune censuario (legge n.1766/1927).Cartografia di Palmanova

Con la riforma della legge n. 142 l’obbligo della resa del conto viene esteso anche a coloro che sono incaricati della gestione dei beni degli enti locali: a tale onere devono attenersi anche gli incaricati della gestione dei beni soggetto ad uso civico. La presentazione del conto non ha alcuna finalità ispettiva sull’attività svolta, ma serve solo a dimostrare la regolarità della gestione. La Sezione Autonomie Locali della Corte dei Conti infatti si limita a verificare la regolarità della gestione contabile e riferisce al Parlamento sull’esito di tali esami, accompagnato da eventuali proposte di innovazione normative di settore. Il regolamento di contabilità di ciascun ente dovrà disciplinare nei particolari la predisposizione e la presentazione del conto da parte dei gestori dei beni civici. Naturalmente se nel corso dell’esame emergono delle responsabilità contabili imputabili ai gestori degli usi civici, verrà attivato nei loro confronti anche un provvedimento giurisprudenziale. Per delineare un quadro più completo nel corso delle lezioni si è riservato uno spazio temporale per l’esame delle singole procedure e per distinguere la responsabilità contabile da quella amministrativa.

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