Svolta nella gestione delle Autonomie Locali.

La legge 142/90 segna il passaggio a un sistema di controllo prevalentemente interno. Con il parere sul bilancio di previsione e sulle variazioni scatta un coinvolgimento più ampio dei collegi sugli atti delle amministrazioni. Verifiche anche in corso di esercizio. Decolla il principio della trasparenza.

Lo spunto per una riflessione sul ruolo dei revisori nell’attuale sistema dei controlli lo ha suggerito l’articolo 17 del decreto del presidente della Repubblica 15 settembre1997 n. 342 (disposizioni in materia di contabilità degli enti locali), che in particolare prevede che i revisori, nell’esprimere il loro parere sul bilancio di previsione, debbono formulare anche un motivato giudizio di legittimità sui documenti contabili. Questa norma, anche se discutibile sotto il profilo del superamento da parte dei Governo della delega legislativa ricevuta, si inserisce nell’evoluzione di cui è stato oggetto negli ultimi dieci anni il sistema di controllo dell’attività degli enti locali. In questo periodo, infatti, si è passati progressivamente da un sistema di controlli prevalentemente esterni su tutti gli atti, che sviliva l’autonomia dell’ente locale, ad un sistema di controlli prevalentemente interni, che è frutto del riconoscimento dell’autonomia dell’ente locale come una proposizione forte.

Questa prescrizione va riletta tenendo a mente l’impianto generale impostato dalla legge 3 giugno 1990n. 142 sul nuovo ordinamento delle autonomie locali e non va contrapposta a quella della legge 15 maggio1997 n. 127, che elimina il parere di legittimità su tutte le proposte di deliberazione precedentemente espresso dai segretari comunali e provinciali.

In merito all’abolizione di questo parere si deve evidenziare che il legislatore ha preso atto che un parere di legittimità espresso su ogni proposta di atto deliberativo aveva una connotazione meramente formale, specie negli enti di una certa dimensione: conseguente mente il legislatore ha ridisegnato le modalità di partecipazione del segretario al processo di formazione degli arti deliberativi (al segretario ora è affidata l’assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’ente in ordine alla conformità dell’azione amministrativa all’ordinamento giuridico, con la precisazione che la conformità all’ordinamento giuridico è sinonimo di legittimità) e ha previsto un coinvolgimento dei revisori più ampio nel formulare il parere sul bilancio di previsione e sulle sue variazioni. Questo giudizio, che essi devono esprimere, deve riguardare anche la coerenza e la congruità necessarie per appurare la coesione dei vari elementi, nonché la proporzionalità e l’attendibilità delle previsioni, cioè la correlazione delle analoghe situazioni rispetto all’esercizio precedente.

La legge n. 142 è stata una legge innovativa per gli enti locali che, anche dopo l’emanazione della Costituzione, vivevano in una sorta di autonomia vigilata. Questa legge, nel rendere l’autonomia una proposizione forte, ha introdotto una serie di nuovi istituti che hanno apportato nella gestione dell’ente diversi criteri già sperimentati nelle aziende private. La legge n. 142, pur essendo una legge di spessore, aveva il difetto di essere fatta per i grandi Comuni: essa infatti, ove tratta della distinzione dei ruoli fra organi politici e organi burocratici, menziona fra questi ultimi solo i dirigenti, che rappresentano una figura lavorativa inesistente nei piccoli Comuni, che costituiscono invece la maggioranza degli enti locali. Conseguentemente la separazione dei ruoli fra politico e dipendente ha incontrato non semplici difficoltà di applicazione negli enti privi di figure dirigenziali, fino all’emanazione della legge n. 127, che ha puntualizzato che in questi enti i titolari della gestione amministrativa sono i responsabili dei singoli servizi.

In un altro passo della legge n. 142 vengono suggerite, come la panacea per le difficoltà gestionali dei piccoli Comuni, le unioni e le fusioni fra gli stessi, senza considerare che i Comuni sono gli enti esponenziali di una popolazione e di una cultura radicatesi nei singoli territori, fattori sociali questi che già non erano stati tenuti in considerazione dalla politica accentratrice del primo dopoguerra. La legge n. 142 proponeva, però, anche altre forme di collaborazione fra gli enti locali, quali le convenzioni e gli accordi di programma, istituiti che però erano nuovi e la cui efficacia di conseguenza doveva essere ancora testata. Ne è derivato che l’approccio alla nuova legge da parte degli enti minori è stato connotato da diffidenza, con la conseguenza che, inizialmente, i contenuti della legge venivano subiti e non condivisi. Le difficoltà pratiche di attuare la legge n.142 erano complicate dalla circostanza che molti enti presentavano un evidente debito culturale: per attuare i princìpi contenuti nella legge era necessaria una crescita culturale di tutti i loro operatori, altrimenti con l’impreparazione si rischiava di mortificare l’effetto della riforma appena approvata.

Uno di questi innovativi istituti si individua nella nuova formulazione data al Collegio dei revisori. Il Collegio dei revisori è stato novato dalla legge n. 142 rispetto l’organo di revisione disciplinato dal precedente ordinamento, nel quale i revisori venivano nominati in seno al Consiglio comunale prescindendo dalla loro preparazione professionale e avevano il compito di visionare solo il conto che presentava a fine esercizio il tesoriere: si trattava di una funzione saltuaria e limitata alla verifica della regolarità delle movimentazioni di cassa, anche se permetteva di sindacare sulle modalità di effettuazione di tutti gli incassi e di tutti i pagamenti.

In questo contesto legislativo i revisori, però, non potevano sindacare sulle decisioni dell’amministrazione relativamente agli importi che venivano riportati nell’esercizio successivo quali residui e conseguentemente non potevano analizzare i risultati definitivi della gestione il legislatore del 1990 per lo svolgimento di queste funzioni ha previsto un organo composto da professionisti iscritti in appositi Albi: l’appartenenza a una determinata fascia culturale certifica l’idoneità astratta del revisore a ricoprire una funzione all’interno dell’ente locale.

I primi revisori eletti in base alla legge n. 142 si sono trovati inseriti in un contesto politico-amministrativo non preparato alle novità insite in questa legge e, forti della loro professionalità, hanno ritenuto opportuno dar vita d una serie di iniziative con lo scopo di contribuire attraverso proposte, studi, progetti, conferenze, seminari alla più ampia e tempestiva attuazione delle norme sancite dalla legge n. 142 e dalla legge 7 agosto1990 n. 241, sui procedimenti amministrativi e sulla trasparenza della pubblica amministrazione, nonché dalle successive normative di attuazione di questi due epocali provvedimenti legislativi.

La presenza nell’ente locale del revisore così connotato va collegata alla previsione dell’articolo 58 della medesima legge, che abolisce il controllo giurisdizionale della Corte dei conti sui consuntivi degli enti locali, previsto dall’articolo 226 del regolamento approvato con Rd 12 febbraio 1911, n. 297, limitando l’intervento di questa Corte al giudizio di conto sulle contabilità presentate dagli agenti contabili. 11 legislatore, per garantire che venisse effettuato comunque un controllo sull’attività degli operatori degli enti locali, dopo questo intervento ablativo, anche al fine di dare una ragionevole certezza che gli illeciti compiuti nella gestione non vadano esenti da responsabilità, ha posto a carico dei revisori l’onere del referto al consiglio dell’ente su eventuali gravi irregolarità di gestione, con la contestuale denuncia ai competenti organi giurisdizionali, ove si configurino ipotesi di responsabilità. Il dovere di denuncia da parte dei revisori istituzionalizza uno stretto collegamento tra controlli interni e giurisdizione di responsabilità: ciò anche in considerazione della possibilità che hanno ora i revisori di effettuare controlli in corso di esercizio, mentre con il precedente esame generalizzato del conto consuntivo da parte dei revisori dei conti, la loro attività cognitoria doveva necessariamente riferirsi a fatti di gestione risalenti nel tempo.

Il sistema dei controlli esterni su tutti gli atti degli enti locali evidenziava quali erano le carenze legislative di attuazione del principio costituzionale dell’autonomia di questi enti. La legge n. 142 ha tardato a essere approvata, perché il suo procedimento legislativo era collegato all’attuazione dell’ordinamento regionale che, per ragioni di opportunità politica, non è stato facilitato dal legislatore nazionale.

Un’altra novità di questa legge è l’esplicitazione del principio della trasparenza della pubblica amministrazione, che era stato già espresso dall’articolo 2 della legge 29 marzo1983 n. 93, che, come la legge n. 142,è stata dichiarata legge fondamentale del nostro ordinamento giuridico. Nel contesto della legge n. 142 è stato codificato anche il principio della distinzione delle competenze fra organi politici – cui competono i poteri di indirizzo e controllo dell’attività .amministrativa – e organi burocratici – di quali compete la gestione amministrativa dell’ente -.

Il sistema della separazione dei ruoli fra organi politici e organi burocratici si è andato via via delineando lungo il percorso segnato dall’articolo 51 della legge n. 142/90,dall’articolo 3 del decreto legislativo n. 29/93 e infine dall’articolo 11 del decreto legislativo n. 77/95, che con il Peg attribuisce ai responsabili dei servizi il raggiungimento degli obiettivi fissati dagli organi politici. La separazione delle competenze per essere efficiente ed efficace deve essere frutto di una testata cultura di programmazione della gestione dell’ente, cultura che si concretizza nella predisposizione di un’esaustiva relazione previsionale e programmatica e di un bilancio dì previsione che sia frutto di un confronto fra politici e responsabili dei servizi. Questa separazione dei ruoli, però, nel corso della gestione deve avere diversi momenti di confronto, alcuni dei quali presenteranno un indice di integrazione molto forte.

In questo contesto, che vede scindere le responsabilità politiche da quelle gestionali, si inserisce la nuova figura del revisore, che ha il compito di svolgere funzioni di vigilanza sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione, con particolare attenzione all’acquisizione delle entrate, all’effettuazione delle spese, all’attività contrattuale, all’amministrazione dei beni, alla completezza della documentazione, agli adempimenti fiscali e alla tenuta della contabilità. L’ampiezza di queste funzioni attribuite ai revisori richiede un monitoraggio costante sull’attività dell’ente, monitoraggio che deve seguire l’evolversi della gestione intervenendo, se necessario, con le dovute segnalazioni.

Per rendere possibili queste innovazioni nell’organizzazione dell’ente locale devono essere valorizzate o introdotte, se ancora non presenti, quelle forme di controllo che non si limitano al momento della verifica, ma che svolgono una funzione di supporto alle attività di programmazione e a quelle di direzione. Il controllo di gestione comunque effettuato rappresenta un’applicazione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione, con l’avvertenza che lo stesso diviene una proposizione forte solo se viene condiviso da amministratori e funzionari: si rischia altrimenti di dar vita solo a un procedimento dovuto ma non condiviso, per cui diviene un adempimento formale, come era nel passato il controllo esterno di legittimità sugli atti. Il controllo di gestione deve essere una sfida contro la burocratizzazione dell’attività amministrativa e una nuova modalità di confronto e collaborazione fra organi politici e organi amministrativi. È bene puntualizzare che il controllo di gestione negli Enti locali assume due diverse connotazioni. Una prima fattispecie di controllo di gestione deriva dalla connotazione finanziaria del bilancio di previsione degli enti pubblici: si tratta del controllo degli equilibri finanziari del bilancio, che è stato codificato nell’ordinamento giuridico dall’articolo 1 bis della legge n. 488/86 ed è stato sviluppato dal decreto legislativo n. 77/95 con le integrazioni introdotte dal decreto legislativo n.342/97.

Una diversa accezione del controllo di gestione viene richiamata dall’articolo 57, ultimo comma, della legge 142/90: in questa fattispecie il controllo di gestione viene aggettivato come economico; si tratta di un tipo di controllo che è derivato dalla cultura aziendale e su cui si era già soffermata, anche se superficialmente, la legislazione precedente. Questo controllo è rivolto alle modalità di raggiungimento degli obiettivi e alla verifica della qualità del risultato e ha avuto una regolamentazione normativa a sé stante con gli articoli 39, 40 e 41 del decreto legislativo n. 77/95. Le difficoltà di applicazione di questo secondo tipo di controllo digestione nelle aziende di erogazione discende dal fatto che nelle aziende private la sua pietra di paragone principale è il profitto, mentre negli enti pubblici il risultato si misura il più delle volte nel soddisfacimento delle esigenze della collettività.

L’attività del revisore si svolge, oltre che con analisi a campione sui singoli procedimenti, anche con questi sistemi di controllo della gestione, ove attivati.

Il revisore, a ragion veduta, può essere coinvolto nella formazione dei nuclei di valutazione, senza che l’amministrazione debba ricorrere ad altre professionalità, che possono essere forse di maggior spessore, ma che sono meno a conoscenza

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