Pubblica amministrazione, arriva l’analisi economica.

Le vicende di Tangentopoli, mettendo allo scoperto un malcostume non sporadico ma eclatante nella conduzione della cosa pubblica, hanno sollevato un velo di diffidenza generalizzata verso la pubblica amministrazione che non sarà semplice da rimuovere. È compito del cittadino singolo impegnarsi a partecipare alla formazione di una società proba mentre è compito del legislatore disincentivare i comportamenti delittuosi per risolvere in radice i mali della-pubblica amministrazione, che non sono pochi dato che in sede di discussione parlamentare della riforma dei reati contro la pubblica amministrazione, approdata nella legge 26 aprile 1990, n. 86, è stata discussa l’ipotesi di istituzionalizzare il reato di concussione ambientale: si voleva dar vita a una norma con la quale punire come concussore il pubblico ufficiale che riceve un premio dal privato quando questi sa che è prassi necessaria in un certo ufficio dare qualcosa per far andare avanti certe pratiche, evitando così di ricorrere alla fattispecie della corruzione che incrimina anche il soggetto privato. Il legislatore ha scartato questa .ipotesi, che era anche deresponsabilizzante per il cittadino, e consuccessivi provvedimenti ha percorso la strada della maggior responsabilità degli agenti pubblici. In particolare prima con la legge 8giugno 1990 n. 142, sull’orientamento delle autonomie locali, e ingenerale poi con la legge 7 agosto1990 n. 241, che dispone nuove norme in materia di procedimento amministrativo si assiste all’istituzionalizzazione, anche a livello locale, della distinzione fra il ruolo di indirizzo politico, proprio degli amministratori, e il ruolo di gestione dell’ente pubblico, proprio dei pubblici dipendenti.

La filosofia di questi provvedimenti legislativi va individuata nella ricerca di un sistema di controlli dell’attività della pubblica amministrazione che, nel rispetto dell’autonomia di ciascun ente che rigetta istituzionalmente l’ancestrale controllo di merito, superi la certificazione della mera legittimità degli atti amministrativi, che può comunque mascherare comportamenti illeciti, per instaurare un sistema dei controlli dell’attività pubblica che prevede parametri di valutazione basati sull’efficacia, sull’economicità e sull’efficienza dell’operato.

Complice di questo sistema endemico dei controlli tutt’ora vigenti è il tipo di contabilità utilizzata dagli enti pubblici che  non ha facilitato l’affermarsi di una cultura di valutazione dei fenomeni gestionali basata sull’analisi comparativa dei costi risultati. La contabilità finanziaria divide le entrate secondo le modalità della loro provenienza e le spese secondo i servizi cui sono destinate le risorse, ma può essere ugualmente introdotto un sistema di valutazione dei costi e dei ricavi, che necessariamente implica una disaggregazione dei dati finanziari per centri di costo e di ricavo.

Già con la riforma della contabilità pubblica avviata con la legge 5 aprile 1978, n. 468, il legislatore ha prescritto la lettura dei bilanci pubblici per programmi o eventualmente per progetti. Nel settore della finanza locale in particolare il legislatore ha prescritto un’analisi separata dei costi sia per la gestione dei servizi produttivi che per la tariffazione dei servizi a domanda individuale.

Per l’attivazione dei singoli progetti con l’art. 4, comma nono, del dl 2 marzo 1989 n. 65, convertito con modificazioni nella legge 26aprile 1989 n. 155, è stato prescritto che ogni investimento deve essere preceduto da un accertamento dei costi presenti e futuri dell’intervento con la specifica indicazione delle risorse con le quali verrà fatto fronte ai nuovi costì. La validità dei piani finanziari va rinvenuta nell’esposizione delle conseguenze immediate e future che l’intervento ha sulla gestione e sul patrimonio dell’ente, non dovendosi semplicisticamente fermare ai soli costì immediati di realizzazione o, peggio, sull’economizzare detti costì in maniera tale da sollevare dubbi sulla funzionalità dell’opera già in sede progettuale.

La prescrizione dell’adozione del piano finanziario deve considerarsi come la codifica di alcune regole di comportamento generali da segui-comportamento generali da seguire in presenza di attività finanziarie che comportano implementa-zioni al patrimonio comunale. Il piano finanziario non deve essere una estrapolazione dei dati indicati nel programma degli investimenti allegato al bilancio, perché questo è uno strumento di programmazione generale mentre il piano finanziario è un programma di gestione particolareggiato con cui di fatto si autorizza l’impiego delle risorse disponibili per concretizzare un progetto.

I piani finanziari non devono essere solo predisposti ma devono venir gestiti. D legislatore più recente ha prescritto che il piano finanziario degli investimenti, per i quali si accende un mutuo per il finanziamento di opere pubbliche destinate all’esercizio di servizi pubblici produttivi, deve essere integrato da un piano economico e finanziario diretto ad accertare l’equilibrio economico-finanziario dell’investimento e della conseguente gestione, anche in relazione agli introiti previsti è al fine della determinazione delle tariffe. Con la prescrizione dell’art. 46 del dlgs 30 dicembre 1992 n. 504 si introduce nella legislazione l’analisi economica degli investimenti che con la normativa del di n. 65/1989 era lasciata alla discrezione delle amministrazio-.ni. Se intendimento del legislatore(anche con la circolare 1192 del maggio 1993) è la creazione di una cultura della contabilità economica, pur nell’ambito dell’indiscussa validità ella contabilità finanziaria, non è logico limitare la prescrizione dei piani economico-finanziari alle sole opere destinate all’esercizio di servizi pubblici finanziate da mutuo sollevando gli operatori pubblici da questa incombenza per opere analoghe che vengono assistite da finanziamenti in conto capitale. In analogia all’estensione dell’obbligatorietà dei piani finanziari a ogni tipo di investimento, prescritta in un secondo tempo dall’art. 13, secondo comma, del dl28 dicembre 1989 n. 415, convertito con modificazioni nella legge 2éfebbraio 1990 n. 38, è da prevedere che il nuovo paradigma normativo verrà esteso in un prossimo futuro anche agli investimenti per la realizzazione di opere non finanziati da mutui e-destinate all’esercizio di servizi pubblici.

L’ipotesi dell’estensione a ogni tipo di finanziamento della prescrizione dei piani finanziari è in armonia con il disposto dell’art. 4, secondo comma, della legge delega 23 ottobre 1992, a 421, che autorizza il governo a emanare decreti legislativi tesi al riordino dell’ordinamento finanziario e contabile dei comuni per l’introduzione graduale progressiva della contabilità economica sulla base dei principi contenuti nella legge 8 giugno 1990 n. 142, ma in armonia con i principi della contabilità generale dello stato. Nel contesto di questa delega legislativa inoltre vi è un preciso richiamo al contenuto dei piani economico-finanziari essendo già inclusa, fra gli argomenti oggetto della delega, la definizione dei principi per la determinazione dei costi degli ammodernamenti dei servizi degli enti locali.

I piani economico-finanziari rappresentano il passaggio da un controllo della spesa basato su meri criteri finanziari, nel cui contesivi è la preoccupazione preminente di definire i limiti di spesa per capitolo, a un controllo della spesa teso ad accertare la reale convenienza della spesa stessa. Si introduce quindi, accanto al controllo degli squilibri finanziari di bilancio, un controllo economico della gestione. Il primo tipo di controllo ha riferimento agli equilibri del bilancio di competenza e del bilancio di cassa quali assetti gestionali da garantire con continuità sia in riferimento alla copertura delle spese correnti sia in relazione al finanziamento degli investimenti. Il secondo tipo di controllo si definisce attraverso l’analisi dei risultati economici della gestione complessiva, o di particolari processi o di singole operazioni, e permette di formulare giudizi idonei a organizzare l’ente peri raggiungimento degli obiettivi secondo criteri di efficacia (qualità del servizio dato), efficienza (razionale uso delle risorse per raggiungere lo scopo) ed economicità (equilibrio fra risultati raggiunti e risorse impiegate).

Questi principi ora sono stati previsti anche per tutte le amministrazioni pubbliche tramite la decretazione legislativa d’urgenza art. 8 del di 15 maggio 1993 n. 143)proprio con l’intento di non dare ulteriori spazi a quei comportamenti burocratici perfetti che possono mascherare comportamenti illeciti degli operatori pubblici. La norma prevede l’attivazione presso le amministrazioni pubbliche di un servizio di controllo interno analogo collegio dei revisori dei conti introdotto dall’art. 57 della legge 142/90 nei comuni e nelle province. L’analogia delle funzioni è evidenziata da nel collegare questo servizio alle dipendenze degli organi generali di direzione, garantendone quindi un’autonomia operativa rimarcata dalla prescrizione di presentare con periodicità relazioni sulle attinta, che nell’individuare in capo asso compiti di verifica sulla corretta gestione delle risorse pubbliche nonché sull’imparzialità e sul buon andamento dell’azione amministrativa. Si rende opportuno rimar-are che dette verifiche vanno effettuate mediante valutazioni comparative dei costi e dei rendimenti per cui si introducono nella pubblica amministrazione analisi anche di carattere economico.

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