Il mio incontro con Diego

Un preciso quadro sulla vera personalità del “mio lontano cugino” Diego l’ho delineato dopo che nel settembre del 1966 all’Università di Trieste mi sono trasferito al corso di laurea in Scienze Politiche. Precedentemente avevo sue scarne notizie raccolte in famiglia, dalla stampa e dalle poche mie visite a Pirano, ove mi ero recato per la prima volta nel febbraio del 1964. In quella occasione avevo avuto modo di sentir parlare del mio cugino Diego e della sua eclettica personalità: infatti in quella circostanza chiedendo a Pirano notizie sulla famiglia de Castro e sulle vicende storiche di quella cittadina, da più persone mi era stato suggerito di contattare il professor Diego de Castro, residente a Torino, che era una persona che conosceva bene le vicende dei miei avi. Al rientro a casa ricordo che mia madre, messa al corrente sulla mia visita a Pirano, mi aveva parlato di Diego quale rappresentante dello Stato Italiano presso l’Amministrazione Militare Governativa Alleata di Trieste ed in seguito insegnante all’Università di Torino.

Quando ho incominciato a frequentare l’Università a Trieste, tramite le nuove conoscenze ivi maturate mi ero creato un quadro più preciso di cosa avesse fatto realmente Diego per Trieste, ma non avevo cercato di approfondire con gli zii gli eventi della nostra famiglia. Non avevo appurato con loro neanche il nostro rapporto di parentela con Diego, che era molto conosciuto a Trieste. Intrapreso il corso di laurea in scienze politiche, a stretto contatto con giurisprudenza ed economia e commercio, avevo avuto modo di incontrare diversi professori che mi chiedevano se ero parente di Diego. Alcuni di essi mi raccontavano di conoscerlo personalmente e di essere anche suoi amici, venendo così a conoscenza di nuovi aspetti dell’impegno scolastico e politico-storico del mio illustre parente; qualcuno che lo frequentava abitualmente mi raccontò anche delle chiose della sua vita privata. Questa appartenenza ad un ceppo comune mi metteva a disagio quando in sede di esame non mi sentivo la coscienza completamente pulita sulla mia preparazione, ed emergeva la mia parentela con un illustre personaggio che aveva raccolto lodi come studente, insegnante di statistica, diplomatico e storico. Mi sentivo come messo in ombra dalla presenza di tale personalità. Mi sembrava fosse tanto lontano, per questo non l’ho cercato. In seguito mi sono reso conto che mi sarebbe potuto essere veramente vicino nei momenti delle scelte. Lui, tanto impegnato, trovava sempre uno spazio di tempo per chi lo avvicinava. Ancor prima di conoscerlo personalmente, Diego però mi è stato di sprone per un buon esito del mio corso universitario, poiché tenendo presente il suo valore professionale e la sua personalità carismatica, stimolava il mio amor proprio a rendere il meglio di me per non farlo sfigurare.

Una delle ragioni per cui non ho incontrato prima Diego è da individuare nella circostanza che mio padre, ultimata la guerra, non ha voluto tornare a Pirano. A tenermi ulteriormente lontano dall’Istria ha concorso la mia frequenza del liceo scientifico a Udine, ove ero ospite nel collegio Bretoni. Le conoscenze fatte nella Patrie dal Friùl mi hanno fatto porre attenzione ad eventi e culture del luogo, allontanandomi così da occasioni di incontri con Diego. Dopo la morte di mio padre avevo preso in mano le poche “carte di famiglia” (due alberi genealogici e il disegno dello stemma di famiglia) esistenti in casa e cominciato a interessarmi alle radici della mia famiglia; volevo in particolare capire come alla stessa appartenesse un riconoscimento marchionale presente nel disegno dello stemma di famiglia e ricopiato nell’anello regalato da mia madre a mio padre nel 1951, avendo destinato mio nonno (morto nel 1942) che il suo anello fosse consegnato al figlio Ferruccio nell’eventualità che rimpatriasse dalla prigionia.

Con Diego mi sono incontrato per la prima volta a Roma il 9 gennaio 1971 nell’albergo dove alloggiava quando veniva a tenere lezioni all’Università La Sapienza: per coincidenza quel giorno era il mio 29° compleanno. L’incontro era stato preceduto da un breve scambio di lettere che gli avevo inviato presso la Facoltà di Economia dell’Università di Torino, non conoscendo l’indirizzo della sua abitazione, poi avevamo fissato telefonicamente dove e quando trovarci. Allora frequentavo all’Università Pro Deo in Roma un corso annuale post universitario di preparazione per funzionari degli Enti Locali promosso dal Ministero dell’Interno. Non lo avevo contattato prima perché ritenevo che fosse una persona molto impegnata per dare retta a me, che negli studi mi ero arrabattato sulla sufficienza prima di arrivare alla tesi di laurea; invece incontrai una persona molto disponibile e gentile, pronta alle battute di spirito.

Il giorno del nostro primo incontro nelle poche ore che siamo stati assieme si sono affastellati una serie argomenti quali le nostre famiglie, le mie aspettative per il futuro, la ricerca del nostro ascendente comune, l’analisi delle diversità nello stemma che era raffigurato sui nostri anelli, le pubblicazioni che avevamo rispettivamente fatto (io, poche e scarne), i nostri interessi nel tempo libero. Ci siamo scambiati delle ipotesi su quello che doveva essere il nostro ascendente comune, ma l’individuazione dell’antenato è stata rinviata all’esame delle rispettive carte di famiglia. Quando è stato individuato con certezza il nostro ascendente, Diego mi ha ribattezzato come “lontano cugino”, ma dopo un due anni mi ha chiamato anche lui “Aldo”.

Ricordo che una delle prime cose che mi ha detto Diego è stata una battuta con cui è sortito appena ci siamo incontrati; lui alto venti centimetri più di me ha proferito: “Lei la xe un de Castro bastardo, basso e senza el mento apuntì”, aggiungendo che quelle erano delle caratteristiche dei de Castro nei secoli. Ha fatto anche riferimento alla statura di suo padre e di altri parenti da lui incontrati, io ho fatto presente che anche mio nonno era molto alto e allora lui scherzando ha ribattuto che con me il sangue è stato inquinato. Per confermare la sua asserzione mi raccontò che negli anni trenta in una notte di estate a Pirano nel convento di S. Francesco, con la complicità di alcuni frati, era entrato in una tomba di nostri antenati, rinvenendo teschi con il mento a punta e femori lunghi, che dimostravano che anche essi avevano un altezza che si aggirava sul metro e novanta. Il suo spirito di ricerca nel passato della famiglia era tale che, nonostante la riverenza che portiamo verso i nostri defunti, ha avuto il coraggio di rimuovere le vecchie lapidi per verificare cosa poter conoscere dei suoi avi. Quando poi gli ho palesato il mio interesse a raccogliere dati sull’origine della nostra famiglia contrappose un “Lei non la troverà mai tutto quel che mi go scoverto” e rimanemmo d’accordo di scambiarci una serie di informazioni sui vari rami della famiglia per avere reciprocamente un risultato ad incastro più complesso. Avevamo concordato che l’origine del cognome era da attribuire al toponimo latino “de castro” (proveniente dal castello di …) ma non si era fatto alcun cenno sulla presenza millenaria della famiglia a Pirano. Quando gli telefonai che avevo trovato all’inizio degli anni mille il richiamo ad un certo “Artuico de castro piraniensis …” e di un suo figlio “filius de Artuico de castro piraniensis …” mi dette tempestivamente del tu.

Un altro degli argomenti del nostro primo incontro riguarda la differenza sulla raffigurazione dello stemma di famiglia nei rispettivi nostri anelli. Quello di Diego si rifà alla lapide marmorea “Arma de Castro” che è conservata nell’atrio del municipio di Pirano, mentre il mio è ripreso da un disegno che aveva fatto mio nonno Marcello sulla base dello stemma che era esposto sulla casa di suo zio Antonio, che esisteva nel quartiere Punta di Pirano. Lo stemma in pietra della famiglia de Castro esistente nell’atrio del municipio di Pirano e lo stemma che aveva Diego nel suo anello mi convinsero che lo stemma di famiglia riportato nell’anello che era di mio padre avesse qualcosa di anomalo: l’anello che portava mio padre era stato fatto nel 1951 sulla base di un disegno geometrico che ricopiava lo stemma di famiglia presente nello anello che si era fatto fare Antonio (n. 09.04.1842), zio di mio nonno Marcello; nel documento in mio possesso, mio nonno annota di aver ricevuto l’anello dalla zia Barbara e che lo stesso se lo era fatto fare lo zio Antonio, che aveva passato diversi anni della sua vita in china, copiando lo stemma scolpito in pietra che era sul frontespizio del portone della casa dei de Castro in Punta, dove abitava il defunto zio Vincenzo (n. 06.06.1837 fratello maggiore di Antonio, entrambi figli di Giovan Battista (n. 26.06. 1811). Dall’esame del testamento di un altro Giovan Battista de Castro (deceduto nel 1558) in cui è impresso il sigillo del testante, confermo che lo stemma utilizzato dallozio Antonio è un rimaneggiamento dell’originale, in quanto nello stesso le tre rose canine sono state sostituite da tre cerchi, ornati all’interno con otto cerchi più piccoli; inoltre lo scudo è sormontato da una corona marchionale, decorato sullo sfondo da bandiere e armi varie attribuibili all’inizio del 1800 .Questa corona forse è stata inserita nello stemma per la circostanza che ai de Castro nel secolo XIII era stato affidato in feudo il marchesato di Albuzzano.Peccato che non esista traccia dello stemma che era presente sulla casa in Punta.

L’altro mio ritrovamento di particolare interesse è avvenuto a Pirano all’Archivio di Stato. Un giorno che ero andato in Archivio ho incontrato fortunatamente un funzionario che conosceva perfettamente l’italiano: ho avuto così modo di esporre analiticamente cosa cercavo e di cominciare assieme la ricerca negli atti ivi conservati. Così sono risalito al testamento di Giovan Battista de Castro nato forse nel 1473 e morto forse di peste nel 1558. Il mio valente antenato aveva prestato i suoi servigi militari alla repubblica veneta ricevendone il dovuto riconoscimento con una pensione, che viene menzionata sulla lapide marmorea posizionata nella navata destra della chiesa di S. Francesco. Di particolare sul retro di questo testamento è impresso in tre punti uno accanto all’altro orizzontalmente il sigillo di cui si fregiava l’avo: si notano tre rose canine nello scudo che è sormontato da due teste di rapaci o forse da un’aquila bicipite (simbolo in tal caso che fa pensare ad un riconoscimento di valore proveniente dagli Asburgo, dato che lo stesso aveva combattuto i turchi a Vienna); attorno ai contenuti della ”arma” è riportata circolarmente la scritta “ Z B DE CASTRO “ . Nei successivi stemmi della famiglia deCastro le due teste di rapace sono sostituite da un elmo di cavaliere decorato nell’apice con una piuma. Diego mi aveva raccontato di aver trovato all’Archivio di Stato di Venezia il documento con cui veniva assegnata al medesimo antenato una pensione per i servizi prestati alla Repubblica Veneta: aggiunse che il documento era stato scritto con buona calligrafia, tanto da sembrare essere stato trascritto con una macchina da scrivere con caratteri in corsivo.

Ma un’altra sorpresa la ebbi quando mia moglie nel 1976 mi raccontò che nel corso di una visita didattica a Gorizia in Palazzo Athems, di proprietà della Provincia, aveva notato nell’atrio un quadro raffigurante uno stemma gentilizio riportante la denominazione Arma del Conte de Castro: in questo stemma le tre rose canine sono sostituite dall’effige di tre leoni, il che fa pensare che il mio avo, che si era fatto fare il quadro, fosse stato in Dalmazia (essendo i tre leoni il simbolo di quella zona geografica) e che avesse esercitato i suoi servizi in quella regione ricevendo un encomio che lo autorizzava a inserire le teste di leone all’interno dell’arma di famiglia. Noto una certa similitudine fra le raffigurazioni di oggetti militari qui presenti e quelli riportati nello stemma dello zio Antonio. Nulla si sa sull’autore del quadro e del suo proprietario originario: nell’inventario è solo riportato che lo stesso appartiene alla raccolta Baguer. Diego attribuiva questo stemma ad un ramo della famiglia che si doveva essere spostato da Pirano e di cui non sono rimaste notizie.

A Roma mi sono fermato quasi un anno e ci siamo incontrati più volte, anche data la circostanza che il mio alloggio era vicino all’albergo da lui allora utilizzato. In base ai rispettivi impegni ci si trovava a colazione, per il caffè dopo mangiato e lo accompagnavo dopo all’Università che non era tanto distante dal suo albergo. Talvolta lo accompagnavo al treno quando ripartiva per Torino dopo aver fatto le lezioni. I viaggi li faceva spesso di notte per guadagnare tempo: in stazione talvolta aveva qualcosa da ridire o sullo scompartimento che gli era stato assegnato proprio in corrispondenza delle ruote o sul contenuto del cestino che si era fatto preparare per il pasto. Incuriosito dalla materia che insegnava più di una volta abbiamo parlato di programmazione e del supporto alla stesa dei dati statistici: argomento che lo portava a formulare delle esternazioni negative sullo stato della finanza pubblica. Ed è stato proprio in tema di programmazione che l’ho messo al corrente di un mio esito non positivo ad un concorso per consigliere economico alla regione F-VG: ne è sortita una sua digressione sulla differenza del metodo di studio da usare per un esame universitario o per un concorso finalizzato ad un’assunzione. Precisazioni che mi sono state utili sia per i concorsi che personalmente ho affrontato per progredire nel lavoro sia per i rapporti che ho avuto con i collaboratori e con coloro che abbisognavano di delucidazioni sull’attività che svolgevo professionalmente.

Ci siamo successivamente incontrati a Monfalcone dove ha tenuto a svernare per qualche anno la sua barca: era un comodo due alberi in legno che trovava un habitat favorevole nel bacino di Panzano con acque prevalentemente dolci, entro il quale era stato realizzato un porticciolo turistico per barche di media grandezza. Lì ho conosciuto tutta la sua famiglia, compresa la governante Lina. Un pomeriggio ricordo che sono andato a trovarli mentre stavano preparando la cena con del pesce e mi sono permesso di formulare un suggerimento su come meglio predisporre la pietanza: non lo avessi mai fatto! Con un veloce “Lina daghe una traversa che el te iuta lù a far de cena”. Così sono diventato l’aiuto cuoco di turno. Una sera Diego è venuto a cena a da noi e ha rivisto una sua conoscente, una Ventrella originaria di Pirano, invitata da mia madre per l’occasione. Lei e Diego si conoscevano da quando erano giovani. La serata è trascorsa allegramente con una serie di ricordi e richiami sulla vita a Pirano nei tempi passati.

Con Diego, nel corso degli anni ho avuto molti incontri telefonici, anche non brevi e ci siamo sentiti anche in prossimità dei suoi ultimi giorni. Ricordo la sua disponibilità al dialogo con tutti; in particolare dopo la pubblicazione del suo libro La questione di Trieste sono state tante le persone che sono venute nel mio ufficio (ho fatto il segretario comunale) a chiedermi il suo indirizzo per avere delucidazioni o confronti su eventi da lui trattati nel libro e da loro vissuti di persona. In particolare menziono le telefonate intercorse fra Diego e Giuseppe Fabris, che aveva prima partecipato alla lotta partigiana nel Friuli Orientale e nella Selva di Tarnova, poi come persona politicamente attiva alle vicende politiche che hanno portato alla restituzione di Trieste all’Italia.

Ma uno degli argomenti discussi fra noi due che mi sono rimasti impressi era sullo stato della sua salute che affermava essere non buona, anche se fino oltre gli ottanta anni girava sempre indefessamente. Se gli parlavo di qualche mia indisposizione, aveva sempre un medico specialista che lui aveva conosciuto da indicarmi, anche se mi lamentavo di una semplice bronchite. Quando lo ho conosciuto in particolare si lamentava di avere da anni dolori al ventre senza registrare però il riscontro degli esiti tipici: per questo inconveniente aveva consultato diversi medici, ma nessuno lo aveva soddisfatto; quella che sembrava essere una sua tendenza ipocondriaca, si rivelerà non vera in quanto successivamente in seguito a esami approfonditi gli verranno trovate ben tre cicatrici di ulcere gastriche. Aggiungo il particolare che negli ultimi anni nei nostri incontri dichiarava che quella era l’ultima volta che ci si vedeva o che scriveva o che mi parlava al telefono.

Aggungo infine le telefonate che ha avuto con mio figlio Domenico (nato nel 1979), che sin da giovane si interessava alle vicende storiche della Venezia Giulia e dell’Istria – che ho cercato di raccontargliele imparzialmente – nonché a quelle della nostra famiglia nei secoli presente a Pirano. A lui Diego chiedeva notizie sugli studi che stava facendo, mentre Domenico voleva informazioni sul suo stato di salute. Con i due traslochi fatti in pochi anni la corrispondenza con Diego è rimasta in uno dei cartoni ancora da aprire, ma ricordo i complimenti fattimi per la sua nascita, in quanto ora è lui che porta avanti il nostro cognome. Per questi motivi Diego ha voluto lasciargli un suo pensiero tangibile. Mi rammarico di non avergli fatto avere una sua foto assieme a me, perché così avrebbe notato che Domenico ha le ossa più lunghe delle mie.

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