I controlli interni negli enti locali dopo il testo unico.

La predisposizione del bilancio di previsione dell’ esercizio 2001 può essere l’ occasione per i revisori degli enti locali di suggerire ai rispettivi enti l’ introduzione di un nuovo sistema di controlli interni, considerando che l’ art. 147 del testo unico approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 ha recepito integralmente le indicazioni già date dal decreto legislativo 30 luglio 1999 n. 286 in materia di controlli interni nelle pubbliche ammministrazioni. Si ricorda che la necessità di un nuovo testo unico per gli enti locali era stata sentita ancora prima della legge n. 142, in quanto necessitava la presenza di un provvedimento che fungesse da crogiuolo ad una complessa normativa quasi centenaria.

La riforma del sistema dei controllo sull’ attività di comuni e province era stata posta come obiettivo principe da diverse forze politiche fin dai primi anni cinquanta, quando si poteva considerare superata la crisi  economica del dopoguerra che poteva giustificare un interventismo diffuso del potere centrale dello stato. Infatti era molto male acettata una legislazione che imponeva la sottoposizione agli organi di controllo esterni perfino un atto con cui si liquidava una fornitura di carburante ma il legislatore per motivi di opportunità politica era restio a lasciare agli enti locali quello spazio di autonomia che gli era riconosciuto dalla Costituzione. In questo contesto la legge 10 febbraio 1953 n. 62, che prevedeva la costituzione degli organi regionali di controllo sugli atti degli enti locali, è rimasta lettera morta fino al 1970 e in questa materia sono stati emanati provvedimenti parziali finchè nel 1990, sotto la pressione di quel movimento di opinione, che chiedeva riforme di spessore, sorto dopo la conoscenza degli scandali di tangentopoli, ha messo in cantiere due leggi epocali che hanno riformato la pubblica amministrazione. In particolare era stata evidenziata l’ opportunità di introdurre procedure di controllo che garantiscano in maniera effettiva che l’ azione amministrativa sia svolta, oltre che nei limiti della legittimità, secondo principi economicità, efficacia ed efficienza. La legge 8 giugno 1990 n. 142, sul nuovo ordinamento degli enti locali, e la legge 7 agosto 1990 n. 241, che detta nuove norme in materia di procedimenti amministrativi, hanno enunciato diversi principi poi sviluppati dalla sucessiva legge 23 ottobre 1992 n. 421. Sulla scorta della delega contenuta nella legge n. 421 sono stati emanati il decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29, teso a razionalizzare l’ organizzazione delle amministrazioni pubbliche e a revisionare la disciplina del pubblico impiego, ed il decreto legislativo 26 febbraio 1995 n. 77, sul nuovo ordinamento finanziario e contabile degli enti locali. Questi provvedimenti legislativi, in attuazione del principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione, hanno introdotto nel nostro ordinamento giuridico in particolare il principio della divisione delle competenze fra organi politici e organi burocratici e quello della trasparenza della pubblica amministrazione. Inoltre con queste leggi si attua nella gestione degli enti pubblici un progressivo restringimento dell’ area regolata dal diritto pubblico ed una contestuale evoluzione verso modelli propri della disciplina privatistica. Per di più l’ ampliamento dell’ autonomia impositiva locale, che ha soppiantato l’ impostazione ventennale della finanza locale basata prevalentemente su risorse trasferite, ora obbliga le amministrazioni locali ad una crescente attenzione verso i suoi cittadini, che nel loro insieme versano risorse significative all’ ente locale. Il quadro normativo che ne è derivato nel corso degli anni, è stato aggiornato a sua volta dalle due leggi “Bassanini” (la legge 15 marzo 1997 n. 59  e la legge 15 maggio 1997 n. 127). In presenza di questo coacervo di norme vi era la necessità dell’ emanazione di un nuovo testo unico per gli enti locali che fungesse da crogiuolo ad una complessa normativa, le cui radici risalivano all’ inizio del secolo. Si è ritenuto opportuno richiamare questa evoluzione normativa perché per analizzare una tematica è utile fare un inserimento storico dell’ argomento che si espone, essendo la storia non una elencazione degli avvenimenti accaduti nel tempo, ma lo studio dei medesimi avvenimenti nell’ epoca in cui si sono manifestati.

Con le leggi sopra richiamate l’ autonomia degli enti locali è diventata una proposizione forte e non è più solo un principio astrattamente previsto dalla Costituzione. Si è constatato che, in questo nuovo quadro normativo, parallelamente all’ attribuzione di una maggior autonomia agli enti locali sono stati radicalmente ridotti i controlli esterni e si sono sviluppate diverse fattispece di controllo interno, che erano quasi sconosciute nella legislazione anteriore agli anni ottanta. Nel variegiato quadro legislativo in cui sono state introdotte queste leggi, necessitava puntualizzare quali dovessero essere i meccanismi di monitoraggio e di valutazione dell’ attività delle amministrazioni pubbliche, dopo la presa di coscienza della insufficenza dei controlli di legittimità sugli atti. Infatti i controlli preventivi di legittimità, pur assicurando la legittimità dell’ azione amministrativa, non ne garantivano l’ efficienza, l’ efficacia e l’ economicità, non essendo in grado di verificare se vi fosse rispondenza tra i singoli atti esaminati e il complesso dell’ azione amministrativa.

Si ricorda che l’ attività di controllo consiste nella potestà attribuita ad un organo di valutare l’ operato di un altro organo, con la facoltà di incidere sull’ attività dell’ organo controllato secondo modalità, tempi e scopi stabiliti da parametri predeterminati dalla legge. La funzione del controllo, anche se esercitata nella forma del controllo preventivo di legittimità sugli atti, non deve essere tesa a reprimere l’ attività degli enti controllati, ma deve essere finalizzata ad impedire che l’ ente controllato ponga in essere azioni illegittime o contrarie ad interessi pubblici più generali. Il controllo deve consistere in una fattiva collaborazione fra controllore e controllato finalizzata al buon andamento dell’ attività amministrativa e ad un consapevole raffronto fra finalità da raggiungere e precetti normativi da rispettare. Un ente che opera nel rispetto della legge non ha nulla da temere da parte degli organi di controllo ed ha la facoltà di dichiarare i suoi atti immediatamente esecutivi, senza dover attendere per la loro esecuzione l’ esito dell’ attività di controllo. I controlli vanno rivisitati ma non eliminati, perché in loro assenza c’ è il rischio che venga considerato giusto solo ciò che fa comodo. Si ricorda inoltre che un atto positivamente esitato all’ attività di controllo, se contiene un vizio può essere ugualmente riformato da un procedimento giurisdizionale in un momento successivo.

Con il d.lgs n. 286, emanato su delega della legge n. 59, sono stati riordinati i meccanismi di monitoraggio e di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’ attività svolta dalle pubbliche amministrazioni. Questo decreto rivisita l’ art. 20 del d.lgs n. 29 che, in materia di controlli interni nelle pubbliche amministrazioni, introduceva nel nostro ordinamento per tutte le pubbliche amministrazioni i nuclei di valutazione per la verifica dei risultati raggiunti dai dirigenti, posti all’ interno di ogni ente in posizione di autonomia e alle dipendenze degli organi di direzione politica con specifico riferimento alla verifica dei risultati raggiunti dal personale dirigenziale.         *       dall’ art. 6 del d.lgs n. 470/93 ha introdotto la dizione “servizi di controllo interno” in alternativa ai nuclei di valutazione, specificando però che questi organi venivano preposti alla verifica, mediante valutazioni comparative dei costi e dei rendimenti, della realizzazione degli obiettivi, della correttezza ed economicità della gestione delle risorse pubbliche, dell’ imparzialità e del buon andamento dell’ azione amministrativa. I compiti così attribuiti a questo organo risultavano estesi da quella che era solo una valutazione dell’ operato del personale dirigenziale, anche ad una valutazione economica della gestione dell’ ente e ad una valutazione sulle modalità di svolgimento della attività amministrativa. La realtà operativa di questi organi si è sviluppata in una molteplicità di formule organizzative e di compiti ad essi assegnati, tali da necessitare di una norma che facesse chiarezza della  formulazione usata dal legislatore delegato: l’ orientamento prevalente della prassi intrapresa ha delineato il più delle volte degli organi, seppure validi sotto l’ aspetto professionale, con funzioni difformi dall’ intento del legislatore, che voleva attivare in particolare una verifica dell’ economicità e del buon andamento nella gestione della pubblica amminitsrazione. Si è constatato infatti che gli uffici per il controllo di gestione o i nuclei di valutazione, ove costituiti,  effettuavano analisi sui costi e benefici dell’ attività amministrativa (funzione tipica del controllo di gestione aziendale) assieme ad una verifica dei risultati ottenuti dal personale apicale (attività podromica per l’ erogazione dei premi incentivanti) e ad una analisi sul raggiungimento dei programmi previsti nel bilancio (indagine utile per monitorare l’ attuazione dei programmi politici).

Il d.lgs n. 286 prevede la separazione fra le varie strutture che esercitano  i controlli interni, ma tuttavia dispone un’ eccezione per la valutazione del personale in quanto stabilisce che questo tipo di valutazione può essere affidata alla struttura del controllo strategico. Si fa presente però che se esiste una diversità di funzioni fra le diverse strutture di controllo, è opportuno che esista una distinzione pure fra i componenti delle stesse, anche se i risultati ottenuti con un tipo di controllo possono essere utilizzati da un’ altra struttura, in quanto le varie forme di controllo, per essere efficaci ed efficienti, devono essere esercitate in modo integrato.

La dicotomia che si era creata nel contesto  dell’ art. 20 del d.lgs n. 29 non era sfuggita al legislatore che, all’a rt. 1 comma secondo punto l) della legge  24 dicembre 1993  n. 537 aveva riconosciuto al governo potestà regolamentare in materia di controlli interni, di verifica dei risultati e dell’ organizzazione: questa delega delega non essendo stata esercitata nei termini previsti è stata riproposta nella legge Bassanini.

Negli enti locali la normativa sui controlli interni ha avuto una evoluzione di maggiore spessore, rispetto gli altri settori della pubblica amministrazione, in virtù dei principi contenuti nella legge n. 142, principi che erano innovativi non solo per gli enti locali, ma per l’ intero ordinamento giuridico: pertanto il d.lgs n. 286, vincolante per le amministrazioni statali, prevedeva all’ art. 1 comma 3° che gli enti locali possono adeguare le proprie fonti normative alle disposizioni del citato decreto nel rispetto dell’ ordinamento autonomo per loro vigente. Però l’ art. 10 al comma 4° del medesimo decreto, pur confermando i contenuti dell’ art. 1 camma 3°, dispone che le amministrazioni non statali procedano, nelle forme previste dalla vigente legislazione, a conformare il proprio ordinamento ai suoi principi. Si fa presente inoltre che l’ art. 1 della quasi coeva legge 3 agosto 1999 n. 265 ha disposto che la potestà regolamentare degli enti locali va esercitata secondo i principi fissati dalla legge: conseguentemente il recepimento negli enti locali del d.lgs n. 286 aveva una connotazione prescrittiva e non facoltativa. Ogni amministrazione poteva già inserire, negli spazi lasciati liberi dalla legge all’ autonomia locale, quelle norme regolamentari che in materia di controlli interni riteneva opportune: ciò con l’intento di sburocratizzare l’ azione amministrativa, non deregolamentando la materia trattata ma fissando regole più snelle e più consone alla realtà di ciascun ente. Ora il testo unico fa chiarezza sull’ argomento prevedendo che gli enti locali individuino strumenti e metodologie adeguate per attivare, nel rispetto della loro autonomia, le tipologie dei controlli interni indicati dal d.lgs n. 286. Per esercitare le varie forme di controllo gli enti locali, data la loro parcellizzazione sul territorio e la conseguente difficoltà pratica per i comuni più piccoli di creare degli autonomi uffici di controllo, possono dar vita fra di loro con virtuosi processi di aggregazione ad uffici unici utilizzando lo strumento delle convenzioni, metodo già testato ai sensi dell’ art. 24 della legge n. 142 in diverse realtà per lo svolgimento del controllo di gestione ed ora specificatamente indicato sia dall’ art 10 comma 5° del d.lgs n. 286 che dall’ art. — del t.u. La nornativa ora richiamata prevede rispettivamente al comma 6° ed al comma — un altro supporto a favore dei comuni per l’ attuazione del decreto, che viene individuato in apposite strutture di consulenza da realizzare nell’ ambito dei comitati provinciali per la pubblica amministrazione e d’ intesa con le provincie: la norma citata si rifà all’ art. 14 lettera l) della legge n. 142, che attribuisce alla provincia funzioni di assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali. Questo ruolo finora la provincia lo ha mal garantito ai piccoli comuni, ruolo che nelle zone montane è stato assicurato dalle comunità montane che sono gli enti con dimensione sovracomunale a più diretto contatto con i singoli comuni. La legislazione di settore degli enti locali prevede già forme di controllo di regolarità amministrativa e di regolarità contabile, di controllo di gestione e di valutazione del personale. Nella normativa vigente invece non è delineato nessun procedimento di valutazione e controllo strategico: questa forma di controllo interno formalmente è inedita per tutte le amministrazioni pubbliche, anche se di fatto viene già svolto autonomamente, con distinte modalità e formule, in tutte le amministrazioni pubbliche: si evidenzia che la funzione di questo tipo di controllo precedentemente era stata impropriamente inclusa, sia da parte della dottrina sia da parte di diversi operatori, nel contesto del  controllo di gestione. 

         Dopo l’ entrata in vigore del d.lgs 286 gli enti che non avevano ancora istituito il controllo di gestione, nonostante l’ esplicita disposizione dettata dal d.lgs n. 77,hanno perso l’ alibi che loro veniva offerto dalla poca chiarezza delle norme, che hanno indotto diversi enti a confondere il servizio di controllo interno di gestione con il nucleo di valutazione: in questi enti sono stati creati degli organi nei quali convergevano entrambe queste funzioni che ora il d.lgs n. 286 ha previsto che vengano svolte da diverse strutture.

Il controllo di regolarità amministrativa e contabile voluto dall’ art. 2 del d.lgs n. 286 e dall’ art. — comma — punto — del t.u. fa riferimento agli organi già previsti dalle disposizioni vigenti in ciascun comparto della pubblica amministrazione. Si ritiene che per questo tipo di controllo negli enti locali il coinvolgimento dell’ organo di revisione vada limitato alla verifica della regolarità contabile, in quanto sono già individuati dalla legge altri organi a cui è conferito il compito di garantire la legittimità, la regolarità e la correttezza dell’ azione amministrativa negli enti locali.

Il rispetto della regolarità amministrativa  negli enti locali è insito nell’ art. 53 comma 1° della legge n. 142 (ora art. — del t.u.) che attribuisce ai responsabili di settore l’ obbligo dell’ emissione di un parere di regolarità tecnica su ogni proposta di deliberazione: questo parere non può prescindere dalle implicazioni di legittimità che sono implicite in un parere tecnico, infatti regolarità tecnica significa rispetto delle regole  che disciplinano una materia, ovvero anche delle norme giuridiche che individuano una determinata  fattispecie astratta. L’ attuazione dei progetti che vengono approvati dagli organi politici, tramite l’ assunzione di deliberazioni sulle quali vengono espressi i precitati pareri, viene demandata ai funzionari individuati nel piano esecutivo di gestione: i responsabili dell’ esecuzione di questi progetti nel loro operare devono attenersi al principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione, il che equivale al rispetto delle norme previste dall’ ordinamento giuridico. La formulazione di un parere si estrinseca in una dichiarazione di conoscenza, che può anche essere disattesa dall’ organo a cui viene prodotta e conseguentemente un parere non è autonomamente idoneo per attestare la regolarità di un atto. Venuti meno i controlli di legittimità esterni, vi è la necessità di individuare all’ interno dell’ ente una figura che attesti la regolarità dell’ azione amministrativa. La funzione di controllo della regolarità amminitsrativa è stata attribuita dall’ art. 17 comma 68° della legge n. 127 al segretario dell’ ente locale che, nel ridisegnare i compiti di questo funzionario, ha previsto una sua funzione di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’ ente, ivi comprese le figure apicali, in ordine alla conformità dell’ azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti: questa funzione ha la medesima valenza di una attestazione sulla legittimità degli atti e dell’ attività dell’ ente locale.

In materia di regolarità amministrativa si deve tenere presente che l’ art.  *** del t.u. attribuisce all’ organo di revisione il compito di riferire al cosiglio dell’ ente le3 eventuali irregolaritàche ha rilevato: Questo compito dei revisori ha lo scopo di mettere al corrente il consiglio dell’ esistenza di situazioni irrituali nella gestione dell’ ente, situazioni che possono comportare dei danni al patrimonio dell’ ente.

La regolarità contabile dell’ azione amministrativa nell’ ente locale viene garantita dal responsabile dei servizi finanziari che, oltre ad esprimersi in ordine alla regolarità contabile di ogni proposta di deliberazione che implica una spesa o una diminuzione di entrata (art. 155 comma 5° del t.u.), ha il compito di monitorare tutte le attività dell’ ente al fine di accertarsi che vengano salvaguardati gli equilibri del bilancio (artt. 3 comma 4°,35 e 36 del d.lgs n. 77 ora artt. —– del t.u.). Una funzione di controllo con connotazione contabile è attribuita all’ organo di revisione previsto dall’ art. 193 e seguenti del t.u.: l’ organo di revisione, composto da professionisti, esercita una attività di vigilanza sulla regolarità contabile e finanziaria dell’ intera gestione dell’ ente. Inoltre questo organo ha il compito di riferire al consiglio dell’ ente le eventuali irregolarità che rileva: queste segnalazioni hanno lo scopo di mettere al corrente l’ organo consigliare dell’ esistenza di situazioni irrituali che possono comportare un danno all’ ente.

L’ art. 147 primo comma al punto b) del t.u. dispone che gli enti locali verificano attraverso il controllo di gestione, l’ efficacia, l’efficienza e l’ economicità  dell’ azione amministratica.

Il controllo di gestione è la procedura tramite la quale si verifica lo stato di attuazione (auditing) degli obiettivi programmatici e, previa analisi delle risorse acquisite e del confronto tra costi e le quantità e la qualità dei servizi erogati, l’ operatività dell’ ente, l’ efficacia, l’ efficienza e l’ economicità dell’ azione amministrativa al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Pertanto all’ interno dell’ ente va individuato un soggetto (controller) a cui vanno indirizzati i referti (reports) sullo stato di attuazione dei singoli progetti per coordinare armonicamente l’ attività complessiva dell’ ente. Sulle modalità di attuazione di questo tipo di controllo si è abbondantemente soffermata la dottrina pubblicistica, recependo esempi già testati nelle aziende private. Si deve tener presente che in una pubblica amministrazione il raggiungimento degli obiettivi non può essere misurato solo secondo le regole del mercato, in quanto nell’ erogazione dei servizi pubblici oltre il risultato economico si deve tenere in considerazione anche il beneficio che ne deriva alla comunità. Negli enti locali la materia è stata disciplinata dal d.lgs n. 287 agli artt. 197, 198 e 199 che hanno individuato, con notevole chiarezza, in cosa consiste il controllo di gestione, puntualizzando quali sono gli strumenti contabili da utilizzare, le sequenze delle operazioni che lo connotano ed i riferimenti organizzativi di supporto. Lo strumento di base per l’ attuazione di questo tipo di controllo negli enti locali è il piano esecutivo di gestione. Art. 169

In questi enti il soggetto preposto al controllo di gestione si individua nel segretario oppure, ove nominato, nel direttore generale, ma con diversi livelli di responsabilità. Infatti al segretario compete il coordinamento dell’ attività dei dirigenti, che sono responsabili del raggiungimento dei risultati loro affidati, mentre il direttore generale è responsabile in solido con i dirigenti nel raggiungimento dei risultati. Si puntualizza che il controllo di gestione deve avere per oggetto l’ intera attività amministrativa e che lo stesso va svolto con continuità per poter verificare lo stato di attuazione dei singoli progetti al fine di poter intervenire con provvedimenti correttivi in corso d’ opera.  Non si devono quindi confondere con il controllo di gestione quelle rilevazioni, seppur valide, che vengono effettuate su singoli settori di attività e con carattere saltuario, le quali hanno lo scopo di monitorare una specifica attività dell’ ente  in un determinato momento.

Come già puntualizzato in materia di valutazione del personale il d.lgs n. 286 ha voluto fare chiarezza a quella  formulazione complessa usata dall’ art. 20 del d.lgs n. 29 come modificato dal d.lgs n. 470 (servizio di controllo interno o nucleo di valutazione) che aveva permesso inizialmente una latitanza  dei controlli di valutazione sull’ operato dei dirigenti o dei responsabili dei servizi e dei settori: alcune amministrazioni attendevano istruzioni ministeriali più dettagliate e si limitavano a distribuire i premi incentivanti in base a parametri anonimi quali l’anzianità di servizio o la presenza in servizio, utilizzando nella composizione dei nuclei solo le professionalità esistenti all’ interno dell’ ente e senza formulare delle valutazioni sulla qualità del lavoro svolto ed eccependo, in certuni casi, una connotazione ispettiva a questo tipo di controllo, connotazione che invece non è rinvenibile nei principi che hanno ispirato le legge delega n. 421. Nella prassi successivamente instauratasi in alcuni casi sono stati preposti alla valutazione del personale dei nuclei di valutazione, formati anche da esperti nominati dalla giunta e scelti fra soggetti non direttamente coinvolti nella gestione dell’ ente (art. 20 comma 4° del d.lgs n. 29 e art. 33 del contratto di lavoro 1995/98), che operativamente venivano supporati dal servizio di controllo interno appositamente individuato all’ interno di ciascun ente (art. 20 comma 3° e 7° del d.lgs n. 29, norma ora abrogata); in altri casi la valutazione del personale è stata attribuita al segretario o al direttore, senza però prevedere alcun controllo sull’ operato di questo dirigente. Parlando di personale negli enti locali si deve evidenziare che il termine dirigente, utilizzato genericamente dalla legge n. 142, ha avuto nel tempo una evoluzione normativa tale da identificarlo nei piccoli comuni nel dipendente preposto ad una unità organizzativa autonoma. Il d.lgs n. 286 all’ art. 5 precisava che la valutazione dei dirigenti (o del personale apicale con incarico dirigenziale) va effetuata dal dirigente generale dell’ ente (ossia dal segretario o dal direttore ove nominato), su proposta dei responabili dei vari servizi: si ritiene opportuno che negli enti locali  la valutazione dei dirigenti venga effettuata da un apposito organo collegiale, che formulerà una valutazione anche sull’ operato dei dirigenti, del segretario generale e del direttore generale. Qualora si voglia invece confermare l’ indirizzo del decreto n. 286 la valutazione dei funzionari apicali spetterà al segretario dell’ ente, o al direttore ove nominato, e la valutazione del funzionario di vertice sarà effettuata dall’ organo politico su proposta dell’ organo di valutazione e controllo strategico.

Il t.u. all’ art. 147 prevede che l’ ente locale attivi una valutazione anche sull’ adeguatezza delle scelte compiute, che all’ art.  **** del d.lgs 286 viene definita valutazione e controllo strategico. L’ attività di valutazione e controllo strategico delineata è tesa a valutare nella loro fase attuativa l’ adeguatezza delle scelte compiute con l’ approvazione dei singoli programmi di indirizzo politico, mettendo a confronto la congruenza o gli scostamenti tra obiettivi predeterminati e risultati raggiunti. Lo scopo di questo controllo consiste nel verificare sia l’ impatto che è stato provocato nel contesto sociale dal raggiungimento degli obiettivi prefissati, sia le modalità con cui gli stessi sono stati raggiunti o le ragioni per le quali sono stati raggiunti parzialmente o sono stati mancati. Il controllo strategico previsto dal decreto ha una funzione diversa dalla funzione di indirizzo e controllo sull’ attività dell’ Amministrazione, che dalla legge n. 142 è attribuita al consiglio degli enti locali. Questa nuova attività si concretizza  in un supporto tecnico-giuridico all’ attività politica, analogo a quello svolto dai consiglieri che vengono chiamati nelle ammmnistrazioni di tipo anglosassone. La funzione di questo organo è quella di presentare e segnalare asetticamente e professionalmente gli scostamenti dei risultati ottenuti rispetto i progetti approvati e di suggerire azioni alternative o modificative di quelle precedentemente approvate: le valutazioni di merito sulla relazione che presenta l’organo di controllo strategico competono all’ organo politico. Istituzionalizzando l’ organo di valutazione e controllo strategico si rende opportuno prevedere la presentazione di rapporti periodici, i cui risultati potranno essere presi in considerazione dal capo dell’ amministrazione e dalla giunta per un miglioramento nel corso dell’ esercizio del proprio programma politico. Date le implicazioni di merito insita in questa attività di valutazione e controllo è previsto che alla relativa documentazione non si applicano le disposizioni sull’ accesso ai documenti amministrativi, essendo una attività di supporto agli organi politici per l’ emanazione di atti amministrativi di carattere generale. Strumento tipico di esplicitazione del controllo strategico è il rendiconto di mandato con cui diverse amministrazioni, alla conclusione del loro mandato, illustrano ai cittadini le modifiche avvenute nella struttura della città durante la loro gestione.

Il processo di monitoraggio innescato dal d.lgs n. 286 ha previsto anche la ristrutturazione degli organi periferici della Corte dei Conti, al fine di superare con l’ istituzione di nuove Sezioni Regionali quella duplicazione di lavoro, verificatasi più di qualche volta, fra sezioni regionali di controllo e delegazioni regionali. In particolare è stato rivisitato il funzionamento della Sezione Enti Locali, ribatezzata Sezione Autonomie dalla deliberazione n. 14 del 16 giugno 2000 della Corte dei Conti, attribuendo alle sezioni regionali il compito di dialogare direttamente con tutti gli enti locali e di inviare alla Sezione il quadro regionale dell’ esame fatto sull’ attività amministrativa e contabile di questi enti; alla Sezione è riservato il ruolo di formulare una sintesi sull’ attività degli enti locali e quello di dialogare con il parlamento proponendo gli aggiustamenti legislativi che riterrà opportuni.

Per gli enti locali si rende necessario, più che opportuno, un adeguamento dei propri atti regolamentari in materia di controlli interni  perchè il decreto assieme al testo unico hanno rivisitato i principi e la geografia  preesistente dei controlli interni. Da qunto esposto risulta che il d.lgs n. 286 ed il testo unico vanno inquadrati fra gli aggiustamenti legislativi necessari per preservare l’ armonia normativa coassialmente all’ evoluzione del conteso socio-politico, anche se nel passato non lontano abbiamo assistito ad aggiustamenti legislativi, di quel paniere normativo che costituisce l’ ordinamento giuridico degli enti locali, che talvolta hanno assunto una connotazione che eufemisticamente si può aggettivare come alluvionale.

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