Problematiche applicative del controllo di gestione.

L’attività istituzionale degli enti locali è regolata da una numerosa serie di norme di ogni tipo la cui interpretazione corretta non è stata sempre semplice per cui ne deriva una difficoltà diffusa per far funzionare l’ente locale come un ente paradigmatico, in quanto la sua realtà di funzionamento spesso è in contrasto con una prospettiva di dinamicità ed economicità. Per superare una prassi della gestione dell’ente locale che è derivata da queste implicazioni, che mal si accompagnano con l’esigenza di dare risposte qualificate ai bisogni della popolazione in una società complessa, il legislatore è intervenuto con la legge 8 giugno 1990 n.142 e successive modificazioni sul nuovo ordinamento degli enti locali che detta diversi principi che necessitano, per divenire operativi, di successivi atti normativi sia a livello legislativo che a livello regolamentare.

In questo processo di rivisitazione delle normative nel settore degli enti locali, dove la complessità dei bisogni della popolazione richiede una conoscenza generalizzata delle soluzioni migliori per poterli soddisfare, un ruolo non secondario è rivestito dal nuovo ordinamento contabile e finanziario degli enti locali disciplinato dal decreto legislativo 25 febbraio 1995 n.77 e successive modificazioni. La necessità di apportare dei correttivi al dlgv n.77, date le complesse implicazioni contenute nel decreto, ha reso necessario proporre un rinvio al termine entro cui gli enti locali devono approvare gli atti di loro competenza per applicare secondo le proprie esigenze questo decreto legislativo che comporta un cambio di cultura nella gestione dell’ente locale, cambiamento solo annunciato come affermazione di principio nella legge n.142. II rinvio dell’obbligo di aggiornare i regolamenti di contabilità previsto dal dlgv n.77 consente di dar respiro alle amministrazioni locali in un terreno estremamente delicato com’è appunto quello dell’introduzione di nuovi sistemi contabili e gestionali che devono rendere più razionali i procedimenti di decisione: altrimenti le amministrazioni avrebbero dovuto fare una corsa contro il tempo senza avere la possibilità di riflessioni e sperimentazioni di quanto proposto. Al riguardo è bene evidenziare che l’applicazione del dlgv n.77 non è solo un nuovo modo di classificare i movimenti finanziari degli enti locali, come comportava l’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 19 giugno 1979 n.421, ma rappresenta un nuovo modo di gestire l’ente locale secondo i principi contenuti negli articoli 51,55 e 57 della legge n.142. Uno degli aspetti più qualificati del dlgv n.77 è la introduzione nell’ordinamento degli enti locali dell’istituto privatistico del controllo di gestione, che sposta l’attenzione nei procedimenti amministrativi dai singoli provvedimenti, che concorrono a comporre un procedimento, al risultato che esplica questo procedimento.

Si deve evidenziare che in una società che crea una organizzazione per produrre dei beni o per erogare dei servizi i controlli non possono essere eliminati ma devono essere più esaustivi per dare la sicurezza che l’attività sottoposta ad un controllo non necessiti di ulteriori vagli per essere riconosciuta perfetta. Il controllo di legittimità sugli atti è comunque necessario in società di diritto per verificare che la singola fattispecie amministrativa sia conforme alla fattispecie astratta prevista dalla norma: ma questo controllo non è sufficiente per dichiarare positivo l’operato di una amministrazione.

Tuttavia l’importanza data dalla dottrina e dalla giurisprudenza alla regolarità del singolo atto amministrativo, o tatara del singolo procedimento, ha comportato una filosofia che individuava nell’atto amministrativo 11fulcro dell’attività della pubblica amministrazione ed un disinteresse di attenzione verso i risultati concreti mancando diffusamente una cultura della valutazione dei risultati. Vi è quindi la necessità di effettuare una verifica dell’impatto che l’operato di una organizzazione crea sull’esterno: il controllo di gestione va attivato in un’ottica erte considera l’ente locale un’azienda in cammino per realizzare le necessità dei suoi utenti, e non un ente che eroga servizi predeterminati che vengono finanziati dai contribuenti. La valutazione dei risultati raggiunti va effettuata sulle modalità del loro raggiungimento e sulla loro qualità in termini di efficienza (rapporto tra risultato raggiunto e risorse impiegate) e di efficacia (rapporto tra obiettivo prefissato ed obiettivo raggiunto).

L’attivazione del controllo di gestione negli enti locali, con le modalità previste dall’articolo 39 del dlgv n.77, è un atto dovuto dopo la rivisitazione dei regolamenti di contabilità: l’applicazione di questo istituto tuttavia pone una serie di problemi non sempre di facile soluzione. Il controllo di gestione introdotto dal dlgv n.77 è uno strumento di verifica dell’attività amministrativa che si sviluppa tramite processi di analisi che hanno contenuti a preminente connotazione privatistica. Il controllo di gestione a cui si fa riferimento trova la sua legittimazione legislativa nella legge 23 ottobre 1992 n.421 che delega il governo a emanare provvedimenti legislativi in materia di pubblico impiego e di finanza territoriale, nonché nel settore sanitario ed in quello previdenziale per giungere alla razionalizzazione e revisione delle normative di detti settori: la legge n.421 è frutto di una cultura tesa a revisionare il funzionamento della pubblica amministrazione nel momento storico in cui la pubblica opinione è stata scossa dagli eclatanti episodi di tangentopoli. Questa legge è stata partorita dal legislatore sulla scia delle innovazioni introdotte nell’ordinamento giuridico dalla legge n.142 e dalla legge 7 agosto 1990 n.241 sul procedimento amministrativo ed il diritto di accesso agli atti amministrativi: leggi ambedue teleologicamente finalizzate a raggiungere una integrale applicazione del principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione, ponendo più attenzione alla qualità del risultato del procedimento rispetto la legittimità del singolo atto che concorre a formarlo.

Il dlgv n.77 si inserisce nel processo di rivisitazione dell’ordinamento degli enti locali previsto dalla nona disposizione transitoria della Costituzione che statuisce un adeguamento della legislazione alle esigenze delle autonomie locali e alla competenza legislativa attribuita alle regioni. Rivisitazione questa che è pervenuta con molto ritardo in quanto era collegata all’attuazione dell’ordinamento regionale, che per motivi di opportunità politica è divenuto una realtà concreta appena agli inizi degli anni settanta. Il processo di ammodernamento dell’ordinamento degli enti locali, che sembrava poter decollare sulla scia di quello regionale, venne però percosso dal “vulnus” sparato dalla legge 9 ottobre 1970 n.825 che nel delineare la riforma tributaria dì fatto appiattiva l’autonomia degli enti locali riconoscendo solo allo Stato la titolarità del processo tributario relativo alle imposte dirette e riservando agli enti autarchici la titolarità del processo tributario delle sole tasse sui servizi da essi erogati. Le diverse proposte di revisione della legge comunale e provinciale che si sono susseguite numerose nel tempo hanno dato vita solo a provvedimenti di carattere parziale, anche causa il clima di instabilità politica che dal 1972 in poi ha provocato una periodica anticipata fine della legislatura parlamentare con la conseguente decadenza di tutte le proposte di legge in esame. Un contributo non indifferente per coagulare le varie ipotesi di riforma dell’ordinamento comunale e provinciale è venuto dalla legge 30 dicembre 1989 n.439 di ratifica ed esecuzione della convenzione europea sulle autonomie locali, sulla cui scorta le varie forze politiche presenti in parlamento trovarono un accordo per approvare la legge sull’ordinamento delle autonomie locali che rielaborava la legislazione intervenuta nel corso di ottant’anni dì storia.

La legge n.142, accanto a vecchi istituti, che vengono riassemblati in un contesto normativo che tiene effettivamente conto del principio costituzionale dell’autonomia degli enti locali, introduce nuovi istituti che vogliono valorizzare le caratteristiche aziendali di comuni e provincie. In particolare l’articolo 57 della legge n.142 al nono comma fa un esplicito riferimento all’attivazione del controllo di gestione stabilendo che lo statuto dell’ente può prevedere forme di controllo interno della gestione: in questo contesto l’attivazione del controllo interno, mai menzionata nella legislazione pregressa, costituiste soltanto una facultus agendì e non un obbligo per gli enti locali, i quali se vogliono attuarlo lo devono prevedere nello statuto e quindi disciplinarlo nel regolamento di contabilità. Questa norma perché possa esplicitare un quid novi va coordinata con altre della stessa legge n.142 quali quelle die prevedono la predisposizione di programmi, l’attribuzione dei compiti gestionali ai funzionari, la rilevazione dei dati consuntivi mediante contabilità economica (anche questa facoltativa) e la valutazione sull’efficacia e sulla efficienza dell’azione condotta, norme che introducono elementi di carattere economico nella gestione dell’ente locale finora ancorata solo a criteri finanziari: dal combinato disposto di queste norme si evince che si tratta di un controllo che non si limita a verificare la legittimità degli atti e gli equilibri finanziari del bilancio ma prevede un monitoraggio sul funzionamento dell’ente, al fine di accertare l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa. Un primo seme sulla possibilità di attivare il controllo di gestione era stato introdotto dall’articolo 1 del DPR n.421 che dispone che la classificazione funzionale delle spese deve consentire una analisi per programmi e, ove specificati, per progetti: il regolamento del 1979 nulla però diceva sulle modalità di verifica di questi programmi e dei relativi progetti; l’adozione di eventuali strumenti di verifica dei programmi era lasciata all’autonoma decisione dei singoli enti, che in alcuni casi attivarono procedure che poi sono state utilizzate come falsariga per formulare i contenuti del dlgv. n.77. li primo grande passo legislativo per introdurre il controllo di gestione negli enti locali, inteso corre controllo qualitativo dell’attività amministrativa, è stato la rivisitazione del collegio dei revisori disposta dal già citato articolo 57 della legge n.142 che investe i revisori di una serie di funzioni di grande portata e delicatezza, non più limitate al solo compito di formulare una relazione sul conto consuntivo: ai revisori, scelti non più in seno al consiglio dell’ente ma fra gli iscritti nel registro dei revisori e nell’albo dei commercialisti e dei ragionieri, viene affidata da questa norma una funzione di vigilanza sulla regolarità cantabile e finanziaria dell’intero corso della gestione dell’ente, Ad essi la legge, fin dalla sua prima formulazione attribuisce un ruolo attivo nella procedura di approvazione del rendiconto prevedendo che nella relazione che essi redigono sul conto consuntivo dell’ente esprimano rilievi e proposte tendenti a conseguire una migliore efficienza, produttività ed economicità della gestione. Siamo in effetti di fronte ad una nuova forma di controllo della gestione.

Il controllo di gestione rappresenta per l’ente il passaggio dall’autarchia, disciplinata dalla legge comunale e provinciale del 1934 che implicava l’emanazione di indicazioni da parte di organi esterni all’ente per l’applicazione delle leggi, all’autonomia derivata dalla legge n.142, che prevede l’emanazione di fonti normative secondarie da parte di ciascun ente locale per personalizzare cosi l’attività amministrativa di ciascun ente.

Il controllo di gestione nella prassi aziendalistica sì individua nella procedura diretta a verificare lo stato dì attuazione degli obiettivi programmati e la funzionalità dell’organizzazione dell’ente, l’efficacia, l’efficienza e il livello di economicità nell’attività di realizzazione dei predetti obiettivi: il controllo di gestione ha per oggetto l’intera attività amministrativa e consente anche la verifica dell’andamento dì particolari progetti. Mettere sotto controllo la gestione dell’ente significa mettere a nudo i problemi che si registrano per cercare soluzioni agli stessi che siano coerenti. Questo controllo deve essere concomitante alla azione amministrativa al fine di poter incidere tempestivamente su eventuali aspetti turbativi dei programmi prefissati, che si sviscerano inaspettatamente nel corso della gestione, o per poter modificare i programmi qualora si evidenzino in essi degli aspetti non più rispondenti alle necessità che si debbono soddisfare. Le precitate verifiche si attuano attraverso l’analisi delle risorse acquisite e la comparazione dei costi sostenuti con la qualità e la quantità dei servizi erogati, II controllo di gestione ha anche il compito di garantire l’imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione nonché la trasparenza dell’azione amministrativa, in quanto l’azione dell’ente deve essere rivolta a soddisfare le attese dell’intera comunità e non deve ritenere giusto solo ciò che interessa agli amministratori in un determinato momento storico, II controllo di gestione è quindi una procedura più evoluta degli equilibri finanziari del bilancio già ventilata dalla legge comunale e provinciale e codificata dall’articolo 1 bis del decreto legge 1 luglio 1986 n.318 convento nella legge 9 agosto 1986 n.488, che è stato recepito nell’articolo 36 del dlgv n.77 disponendo che gli enti locali durante la gestione e nelle variazioni di bilancio rispettino il pareggio finanziario e tutti gli equilibri stabiliti per la copertura delle spese correnti e per il finanziamento degli investimenti. Il legislatore con queste espressioni ha voluto garantire la gestione dell’ente locale da quelle situazioni patologiche denominate debiti fuori bilancio, sviscerate nel successivo articolo 37, o da quelle situazioni che si possono definire debiti sommersi individuabili in un supera di spesa su un impegno regolarmente assunto, in una entrata che si è realizzata in misura minore a quella prevista o che addirittura non si è realizzata, e che non è compensabile con altra maggiore entrata o con parallela minor spesa, oppure in una sopravvenienza passiva in conto residui.

Non è da confondere con il controllo di gestione l’attività svolta dal responsabile del servizio finanziario a cui rompete l’onere della verifica periodica dello stato di accertamento delle entrate e di impegno delle

spese nonché della segnalazione al sindaco, al segretario e all’organo di revisione l’eventuale costituirsi di situazioni che possono pregiudicare l’equilibrio del bilancio. Il controllo dello svolgimento dei programmi autorizzati con l’approvazione del bilancio si trasforma con il dlgv n77 da facoltà, fatta propria nel passato dalle amministrazioni avvertite, ad un obbligo per tutte le amministrazioni. Sulla impostazione del controllo di gestione il decreto legislativo n.77 lascia spazio alla potestà regolamentare dì ciascun ente: nell’insieme il legislatore ha lasciato dei rilevanti margini di discrezionalità a ciascun ente per delineare e focalizzare il modello del controllo di gestione che meglio può rispondere alle proprie peculiari esigenze. Comunque l’impostazione del sistema di controllo di gestione corrisponde alle specifiche condizioni organizzative ed ambientali e richiede una oculata valutazione delle varie logiche enucleate dalla dottrina alla luce dei risultati concretamente ottenuti su diversi campioni. Per avere una certezza che il controllo di gestione non venga subito come una ingerenza nella propria attività da parte di un altro servizio, l’attivazione del controllo di gestione dove essere preceduta da un lavoro collegiale di confronto fra amministratori e funzionari per individuare di concerto quali modifiche organizzative sono necessarie per passare da un sistema di lavoro basato sulla legittimità del singolo atto e sulla competenza funzionale dell’incaricato ad un sistema volto al raggiungimento di risultati leciti, sistema questo che valuta la competenza dell’operatore secondo le sue capacità lavorative al di là della qualifica funzionale attribuita. Per le modalità di svolgimento di questo controllo viene fatto esplicito riferimento alla normativa prevista dall’articolo 20, comma secondo, del decreto legislativo n.29. Il dlgv n.77 prevede una procedimentalizzazione del controllo di gestione in tre fasi che comportano: a) la predisposizione di un sistema dettagliato di controllo in cui vengono individuati gli obiettivi da analizzare; b) la raccolta dei dati sui risultati raggiunti, sui costi sostenuti e sui proventi accertati; e) la valutazione dei risultati ottenuti e la formulazione dì eventuali suggerimenti. Si tratta quindi di una metodologia finalizzata ad aiutare gli organi di direzione politica e quelli di gestione amministrativa a governare meglio la cosa pubblica.

Dato che la sezione enti locali della Corte dei Conti è stata investita dall’articolo 3, settimo comma, della legge 14 gennaio 1994 n.20 della potestà di effettuare valutazioni sul funzionamento dei controlli interni degli enti pubblici, sarà opportuno che l’ufficio che curerà il controllo di gestione predisponga una relazione sui risultati raggiunti nel corso di ciascun esercizio finanziario. Il regolamento di contabilità potrà definire particolari cadenze periodiche per la presentazione del referto sul controllo di gestione, ma l’attività dei servizi di controllo interno dovrà svolgersi durante l’intero arco dell’esercizio finanziario. Il controllo di gestione viene svolto facendo riferimento ai singoli servizi ed agli eventuali centri di costo, ove individuati, verificando in maniera complessiva e per ciascun servizio i mezzi finanziari acquisiti, i costi dei singoli valori produttivi nonché ì risultati ottenuti sia in termine di qualità e quantità che in termini di ricavi. L’ufficio incaricato del controllo di gestione deve operare in posizione di autonomia rispetto agli altri uffici e rispondere esclusivamente agli organi di direzione politica. L’ufficio a cui viene assegnata la funzione del controllo dì gestione verifica se i comportamenti sono consoni al raggiungimento degli obiettivi e fornirà le conclusioni dell’attività svolta agli amministratori, per analizzare lo stato di attuazione degli obiettivi programmati: dette conclusioni vanno comunicate anche ai dirigenti affinché siano in possesso degli elementi necessari per valutare l’andamento della gestione dei servizi di cui sono responsabili. La responsabilità del funzionario in presenza di un mancato obiettivo va meglio definita perché deve avere un giusto rilievo, a meno che non si voglia con una interpretazione involutiva far ricadere questa responsabilità sul singolo assessore o meglio sul Sindaco o sul Presidente, anche nel caso in cui l’apparato lavori in tutt’altra direzione.

Le norme ora richiamate ci fanno riflettere su quali possibilità hanno di effettuare un controllo di gestione i cosiddetti “comuni minori”: intendo riferirmi ai Comuni con meno di 10.000 abitanti, che rappresentano la maggioranza. C’è il sospetto che il legislatore non sia stato debitamente messo al corrente dello stato di disagio in cui si trovano ad operare i comuni minori costretti ad operare in una precarietà spesso insostenibile, con limitazioni alla pianta organica non solo quantitative ma soprattutto qualitative, dato che per questi comuni è ormai anacronistica la limitazione di non poter annoverare nella dotazione organica figure dirigenziali, che sono invece più consone agli obblighi ed alle responsabilità introdotte per legge. La parola dirigente liei piccoli comuni deve comunque intenderei riferita all’impiegato preposto alla funzione, in quanto è impensabile che tutte le funzioni “dirigenziali” nel piccolo comune vengano accentrate nella figura del segretario dell’ente, considerando anche il fatto che gran parte dei comuni più piccoli svolgono il servizio di segreteria comunale in convenzione con altri comuni..

Sorge il dubbio che con queste norme, facendo leva sulla complessità degli obblighi e delle procedure, i! legislatore punti implicitamente a spingere i piccoli comuni alle unioni ed alle fusioni, proposte dalla legge n.142 ma non recepite dagli amministratori.

Sembra che il ministro Bassanini si sia fatto portavoce di queste difficoltà proponendo un disegno di legge teso a semplificare alcune indicazioni della legge n.142. La filosofia che sta alla base della citata proposta legislativa non vuole rivoluzionare i contenuti della legge n.142 e del dlgv n.77 ma rappresenta la volontà di lasciare margini più ampi all’autonomia di ciascun ente di fronte ad alcuni istituti introdotti dal nuovo ordinamento degli enti locali. Questa proposta prende anche atto che il nuovo quadro normativo che è derivato dalla legge n.142 non è il frutto di un crogiuolo in cui sono state inserite le vecchie norme di settore ma costituisce un paniere che raccoglie le nuove norme che regolano la vita degli enti locali.

L’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa devono essere misurate secondo i risultati raggiunti e non sulla mera legittimità di un singolo atto che concorre al raggiungimento di detti obiettivi Non si può equiparare l’illegittimità di un singolo atto amministrativo all’ìlleceità penale: l’esperienza dimostra che dietro comportamenti legittimi solo dal punto di vista formale si possono nascondere comportamenti penalmente illegittimi.

C’è il timore che di fronte ai principi insiti nel nuovo ordinamento, i quali danno maggiore rilevanza al raggiungimento degli obiettivi rispetto alle singole procedure, che sono strumentali per il conseguimento di questi obiettivi, qualcuno eccepisca la illegittimità formale di un singolo provvedimento, che concorre assieme ad altri provvedimenti, al raggiungimento dell’obiettivo prefissato, senza stoltamente por mente al fatto che il risultato raggiunto nel suo complesso è lecito oppure si attesti sul concetto della propria competenza individuata quale attività istituzionalmente prestata all’interno di una organizzazione anziché come competenza quale preparazione e attitudine professionale a svolgere un compito.

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