ESPERIENZE PROFESSIONALI
Una sintesi delle norme che hanno modificato radicalmente l’ordinamento comunale. I nuovi ruoli del Sindaco, della Giunta e del Consiglio Comunale
di Osvaldo de Castro
La ricerca di un nuovo quadro normativo per gli enti locali era stata evidenziata subito dopo l’emanazione della costituzione che all’art. 128 codifica il principio dell’autonomia di questi enti. La proposta di emanazione della normativa, che era derivata dal regolamento del 1911 e dal testo unico sulla legge comunale e provinciale del 1934 si concretizzò inizialmente nel richiamo in vigore di alcune parti del testo unico del 1915 e nell’emanazione di alcune norme di adeguamento dei citati testi legislativi, senza approdare ad un nuovo ordinamento delle autonomie locali (per ordinamento si intende il complesso di norme che regolano l’attività di un ente).
In concomitanza all’attivazione dello ordinamento regionale e dell’approvazione della legge sulla riforma fiscale, che toglieva agli enti locali l’autonomia in positiva, si infittirono le proposte di legge in materia che approdarono alla emanazione di alcuni provvedimenti secondari, anche causa le vicissitudini politiche che dal 1972 crearono una patente instabilità politica. Gli amministratori locali temevano in queste circostanze la traslazione della politica accentratrice all’autorità statale a quella regionale, dato che l’ordinamento era regolato in gran parte ancora da norme che risentivano dello spirito accentratore insito nello statuto albertino.
Amministratori e funzionari di Comuni e Provincie alla fine degli anni ottanta si sono trovati di fronte ad una legislazione ridondante che mal si adattava al principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione. L’autonomia comunale in effetti non era una proposizione forte, in quanto se analizzata nella sua essenza la possiamo aggettivare come autonomia condizionata: l’attività di Comuni e Provincie veniva vincolata spesso all’attenersi a fattispecie prestabilite dalla legge.
L’autonomia degli enti locali di fatto era limitata alla potestà di dotarsi norme regolamentari adottate spesso in applicazioni di leggi esaustive che lasciavano pochi spazi all’esplicazione delle discrezionalità degli amministratori. La potestà di dotarsi di un corpo normativo personalizzato inoltre veniva spesso repressa dalla successiva emanazione di circolari che riducevano ulteriormente i margini di scelta. Più che di autonomia si poteva parlare di autarchia, che è la capacità di un ente di amministrare i propri interessi con l’esercizio dei poteri che gli sono attribuiti dalla legge.
Autonomia nell’accezione della parola significa infatti dotarsi di un corpo normativo secondo le proprie necessità nel rispetto delle altre organizzazioni riconosciute dall’ordinamento giuridico.
L’annoso processo di rivisitazione della legislazione comunale e provinciale ha sicuramente ricevuto una stimolante accelerazione dalla legge di ratifica ed esecuzione della convenzione europea relativa alla carta europea dell’autonomia locale (legge 30 dicembre 1989 n. 439). In questo documento si codifica che per autonomia locale si intende il diritto e la capacità effettiva per le collettività locali di regolamentare ed amministrare nell’ambito della legge, sotto la loro responsabilità, le necessità delle comunità locali.
Il nostro legislatore, sotto la spinta delle pulsioni che richiedevano a gran voce una nuova legge per la gestione degli enti locali, ha approvato la legge 8 giugno 1990 n. 142. Questa legge tuttavia non dava riscontro immediato a tutte le aspettative in quanto ne era scaturita una legge di principi che demandava la regolamentazione di diversi istituti a livelli normativi successivi.
La 142 appena emanata è stata oggetto di ampie critiche in quanto nulla disponeva in materia di elezione degli organi e dettava solo principi sul tanto atteso riordino della finanza locale.
L’opinione pubblica ed anche buona parte degli operatori del settore non si era però resa conto della portata innovativa di questa legge. La 142 infatti rispetto le normative precedenti ha innovato sostanzialmente, attribuendo agli enti locali, tramite l’adozione dello statuto, una potestà normativa secondaria con forza abrogativa nei confronti della previgente legislazione.
Questa legge opera la delegificazione in materia di ordinamento comunale disponendo la fissazione dei principi basilari e riservando alle fonti normative comunali (statuti e regolamenti) l’esposizione delle norme di dettaglio. La delegificazione è il processo effettuato da una legge che attribuisce la regolamentazione di una materia, precedentemente disciplinata dalla legge, ad una fonte normativa secondaria. Non si confonda questo principio con quello della deregolamentazione con cui una materia precedentemente disciplinata dalla legge viene lasciata alla libera iniziativa dei privati.
Lo statuto con efficacia limitata nello spazio (comune o provincia) ha forza di legge essendo munito della capacità di incidere sull’ordinamento giuridico: lo statuto ha ricevuto dalla legge la facoltà di normativare autonomamente alcuni istituti (le ed. opzioni che sono previste dalla 142) nonché la potestà abrogrativa della legislazione previgente non compatibile con le nuove norme. Con l’approvazione degli statuti ciascun ente si dota di un corpo normativo personalizzato secondo le proprie dimensioni e la propria cultura. Se l’attuale ordinamento degli enti locali ha dato vita a tanti corpi normativi diversificati da ente ad ente, il precedente ordinamento operava un appiattimento giuridico fra tutti gli enti, che veniva solo attenuato dalle autonome decisioni per l’esercizio dei servizi.
La 142 ha instaurato nell’ordinamento comunale un dualismo organico ripartito fra Sindaco, Giunta e Consiglio Comunale. Al Consiglio vengono attribuite le funzioni di indirizzo e controllo dell’amministrazione ed al Sindaco quelle di direzione politica che si esternano nel presiedere la Giunta e nel sovraintendere al funzionamento dei servizi e degli uffici nonché all’esecuzione degli atti. La gestione amministrativa è attribuita ai funzionari che hanno la responsabilità della correttezza amministrativa e dell’efficienza della gestione. Alla Giunta competono le funzioni residuali non attribuite agli altri organi, ma di fatto mantiene la funzione di organo paradigmatico per l’azione amministrativa.
Il legislatore, dopo un non semplice iter parlamentare, ha approvato il nuovo sistema di elezione degli Organi Comunali e Provinciali. La mancata approvazione per diversi anni di una legge che disciplinasse in un’ottica diversa il processo di nomina degli amministratori locali, aveva dato vita alla ben nota richiesta di referendum. Il legislatore, sotto spinta referendaria, ha varato la legge 25 marzo 1993 n. 81 che rappresenta l’oggettivazione della idea di modificare il sistema elettorale nell’ordinamento italiano caratterizzato dalla elezione indiretta degli organi politici.
La legge 81 introduce il sistema di elezione del Sindaco con metodo diretto. La centralità del Sindaco nell’ordinamento comunale, che era già stata delineata dalle 142, viene ora rafforzata dalla sua investitura diretta da parte dei cittadini. La legge 81, nel modificare le modalità di elezione del Sindaco e della Giunta, fa venir meno sia l’intervento dei consiglieri per l’elezione degli amministratori che, per i comuni con oltre 5.000 abitanti, l’obbligatorietà della scelta di questi in seno al Consiglio Comunale.
La nomina e la revoca degli assessori è divenuta un atto di competenza del Sindaco, il quale tuttavia ha l’onere di partecipare la composizione della Giunta ed il suo programma al Consiglio Comunale, che va convocato a tal fine entro dieci giorni dalla proclamazione degli eletti.
Il Sindaco ed il Presidente della Provincia neoeletti assumono le funzioni di Capo dell’Amministrazione dal momento della proclamazione del risultato elettorale, mentre la convalida degli eletti ed il loro giuramento si pongono quali condizioni risolutive dell’investitura, nonché, per il Sindaco, quale presupposto per l’esplicazione delle funzioni di ufficiale del Governo. L’interpretazione formulata si basa sull’assunto che l’art. 16 della legge n. 81 abbia introdotto una diversa figura di Sindaco, legittimata da un’investitura che promana dalla sovranità popolare e perciò connotata da una dimensione istituzionale e da un ruolo più ampio rispetto a quelli precedenti. Con la legge 81 viene formulata in seno al consiglio comunale e provinciale una nuova figura: il Presidente del Consiglio Comunale. La norma al riguardo non prevede alcun criterio per l’individuazione di questo nuovo organo, ma fa solo chiaramente trasparire che sarà lo statuto a disciplinarlo e che la funzione dovrà essere affidata ad un consigliere comunale.
La legge 81 all’art. 18 attribuisce ai consiglieri la facoltà di presentare una mozione di sfiducia nei confronti del Sindaco e della Giunta ma rispetto la presentazione della mozione di sfiducia costruttiva che era prevista dalla 142 il numero dei presentatori viene elevato da un terzo a due quinti dei consigliere assegnati: l’incremento dei consiglieri necessari per l’uso di questo eccezionale strumento di controllo dell’attività gestionale è motivato dal fatto che l’approvazione della mozione sfiducia, come esplicitata dalla legge 81, implica lo scioglimento del consiglio comunale, mentre nel contesto della 142 comportava solo il rinnovamento degli organi di direzione politica.
Sulla scorta del principio della trasparenza della pubblica amministrazione, già insito nella 816 e ampliato dalle leggi n. 142/90 e 241/90, la legge 81 attribuisce ai consiglieri comunali la facoltà di presentare al Sindaco, o agli Assessori da lui delegati, interrogazioni e ogni altra istanza di sindacato ispettivo, riconoscendo ad essi una potestà di intervento e di dialogo formale con gli amministratori anche al di fuori della sede consigliare, che non era riconosciuto dalla legislazione precedente la regola comportamentale di dare una risposta alle istanze dei consiglieri è ora assurta a paradigma normativo con l’onere della esplicitazione di un termine entro il quale si deve dare una risposta all’interpellante. Le modalità di presentazione delle istanze e di formulazione delle relative risposte vengono demandate agli statuti ed ai regolamenti sul funzionamento degli organi.
Si può concludere che con la legge 142 e le successive modificazioni e integrazioni si è passati da un ordinamento eteronomo (regolamentato da norme formulate da una volontà esterna al loro destinatario) ad un ordinamento autonomo (regolamentata da norme formulata da una volontà interna all’ente).
Discorsi Discorsi, n. 2 anno 1, aprile 1995
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