Lo spirito di raggiungere una vera autonomia basata sulla capacità di gestirsi con proprie norme è la filosofia che sta alla base della legge 8 giugno 1990 n. 142 sull’ordinamento delle autonomie locali. Comuni province, enti preesistenti alla formazione Dello stato italiano, prima di questa legge di fatto erano solo degli enti autarchici che si amministravano in un complesso contesto legislativo che risentiva fortemente bellospirito accentratore dello statuto albertino. Il costituente con la IX disposizione transitoria si era impegnato ad adeguare, entro tre anni dalla entrata in vigore della Costituzione, le leggi dello stato alle esigenze delle autonomie locali ed alla competenza legislativa attribuita alle Regioni. L’attività di controllo sugli atti degli enti locali venne rivisitata rispetto il testo unico del 1934 dalla legge 9 giugno 1947 n.530, che però confermò la competenza in materia del Prefetto e della Giunta Provinciale Amministrativa : questa legge ribadiva l’alogica del controllo preventivo di legittimità sulla gran parte degli atti degli enti locali prevedeva per alcuni di essi anche l’espletamento del controllo di merito. Con l’avvento dell’ordinamento regionale queste modalità dei controlli sugli atti degli enti locali furono attenuate dalla legge 10 febbraio 1953 n. 62, come modificata successivamente dalla legge 10 dicembre 1970 n. 1084, che disciplinava all’articolo 55 eseguenti la costituzione e il funzionamento degli organi regionali di controllo.
Il sistema del controllo preventivo di legittimità, diffuso su tutti gli atti degli organi dei Comuni, nonché quello del controllo di merito, pur se limitato ad alcuni tipi di atti, era patentemente in contrasto con il principio costituzionale dell’autonomia degli enti locali acclamato dagli articoli 5 e 128 della costituzione, in quanto si tratta di un controllo oppressivo che si sostanzia nella verifica della sola regolarità procedimentale di un atto, per quanto concerne quello di legittimità, ed in una ingerenza nelle decisioni degli enti locali, per quanto concerne quello di merito: questo sistema dei controlli non contribuiva di certo a qualificare come proposizione forte l’autonomia degli enti locali.
La necessità di giungere ad un sistema di controllo sostanziale sugli atti degli enti locali si è progressivamente arricchita con la presa di coscienza a livello generalizzato che con i controlli formali si lasciavano troppi spazi a quelle devianze del comportamento dei pubblici amministratori che si sono materializzate negli eclatanti episodi che hanno dato vita alle note vicende di tangentopoli: tale filosofia dei controlli preventivi inoltre era umiliante anche per le professionalità presenti all’interno degli enti locali, il cui compito veniva limitato ad assicurare il rispetto della legge nello svolgimento delle singole procedure, al di là di una verifica, qualitativa dei risultati che si raggiungevano. Complice di questo sistema dei controlli è il tipo di contabilità utilizzata dagli enti pubblici che non ha facilitato l’affermarsi di una cultura di valutazione dei fenomeni gestionali basata sulla analisi comparativa dei costi e dei ricavi. Ne è scaturita l’esigenza dell’introduzione alternativa di procedure di controllo che garantiscano in maniera effettiva che l’azione amministrativa si svolga oltre che nei limiti della legittimità anche secondo principi di economicità. Per di più si è constatato che l’attività di controllo è tanto più efficace quanto è più vicina alla realtà amministrativa nei confronti dei quali esplica la sua potestà: accanto al CO.RE.CO. che si esprime dall’esterno sulla legittimità degli atti dell’ente locale, si è ravvisata l’opportunità di prevedere un organismo che sia in grado di esprimere delle valutazioni economiche sull’attività dell’ente. Una amministrazione avvertita poteva già prima della legge n. 142 introdurre autonomamente nella contabilità finanziaria una disaggregazione dei dati contenuti nei singoli capitoli di entrata e spesa per elaborare una riaggregazione degli stessi per centri di ricavo e di costo. Diversi enti locali, usufruendo anche delle esperienze maturate nelle aziende municipalizzate, hanno dato vita accanto al bilancio ministeriale ad un bilancio per centri di costo, dimensionato secondo le esigenze delle proprie strutture, assegnando ai vari responsabili le risorse umane e finanziarie per raggiungere gli obiettivi predeterminati in collaborazione tra amministratori e funzionari.
Con più norme disseminate nelle varie leggi finanziarie che si sono succedute annualmente dal 1977 in poi, si nota innanzi tutto una progressiva presa di coscienza dell’importanza da attribuire ai dati di chiusura dell’esercizio finanziario rispetto il bilancio di previsione, che nella contabilità finanziaria utilizzata dagli enti pubblici rappresenta il più importante documento contabile: nelle aziende di produzione invece il documento contabile più importante è il bilancio consuntivo. Questa maggior attenzione verso i dati consuntivi è l’esplicitazione della constatazione che anche gli enti locali sono un’azienda, anche se di erogazione di servizi, per cui si devono introdurre nella sua gestione dei principi di carattere economico, propri delle aziende di produzione, accanto al principio della legittimità dell’azione amministrativa.
Una prima proposta di introdurre nella contabilità finanziaria elementi di controllo per programmi era stata avviata con la riforma della contabilità pubblica del 1978: il legislatore delegato all’articolo 1 del D.P.R. 19 giugno 1979 n. 421 aveva infatti prescritto che i bilanci degli enti locali vanno letti anche per programmi ed eventualmente per progetti. Successivamente il decreto legge 22 dicembre 1981 n.786 invertito con modificazioni nella legge 26 febbraio 1982 n. 51 ha introdotto l’obbligo di chiedere agli utenti dei servizi pubblici una contribuzione, anche con carattere non generalizzato; la norma prevedeva che a tal fine venisse fatta una revisione generale delle tariffe vigenti oche si procedesse alla istituzione di nuove tariffe per i servizi erogati a titolo gratuito odi nuova istituzione. Il medesimo testo normativo ha previsto anche che i Comuni, prima di approvare il bilancio di previsione, procedano annualmente, al fine di determinarne le relative tariffe di vendita, ad una verifica delle aree disponibili nei piani di zona per l’edilizia economico – popolare adottati ai sensi dell’articolo 16 della legge 18 aprile 1962 n. 167 e dei piani per gli insediamenti produttivi adottati ai sensi dell’articolo 27 della legge 22 ottobre 1971 n. 865. Questi provvedimenti, criticati sia da buona parte dei gruppi politici che da diversi operatori del settore, sono la codifica del principio che il nostro paese è completamente uscito da quella crisi economica che ha caratterizzato gli anni del dopoguerra e che ha giustificato i costi politici nella fruizione dei servizi: di conseguenza ora anche gli enti locali devono applicare agli utenti i costi reali nei servizi che erogano, introducendo nella loro gestione l’analisi comparata dei costi e dei ricavi, accanto a quella delle entrate e delle spese proprie della contabilità finanziaria.
Un ulteriore passo per superare la filosofia della mera conformità alla legge della gestione degli enti locali è stato attuato con l’introduzione della relazione previsionale e programmatica, che deve essere allegata al bilancio di previsione e che va predisposta in coerenza con gli indirizzi e gli obiettivi della programmazione economico nazionale e dei programmi di sviluppo regionali: questa relazione e lo schema di bilancio dovevano essere presentata dalla giunta al consiglio dell’ente un mese prima della sua approvazione. Il senso di questo paradigma normativo, contenuto nell’articolo 1 bis del decreto legge 28 febbraio 1983 n.55 convertito con modificazioni nella legge 26 aprile 1983 n.131, è che gli enti locali devono operare per programmi e non in base alle pulsioni di singole necessità.
Essendo però il bilancio degli enti locali di carattere finanziario (è un bilancio preventivo che autorizza l’effettuazione di entrate e spese, e non consuntivo come nelle imprese, ove ha rilevanza il risultato d’esercizio) sono state introdotte con l’articolo 1 bis del decreto legge 2 marzo 1986 n.318 convertito con modificazioni nella legge 9 agosto 1986 n.488 norme tese a garantire più tassativamente gli equilibri del bilancio, dato che l’articolo 307 del testo unico del 1934 prevedeva l’obbligo di intervenire sull’equilibrio del bilancio solo in presenza di un disavanzo accertato: questa norma ha introdotto il principio elle l’equilibrio del bilancio di previsione va mantenuto anche nel corso della gestione, nonché l’onere di provvedere al ripristino del pareggio anche qualora nel corso dell’esercizio si preveda un disavanzo di amministrazione per uno squilibrio nella gestione di competenze o in quella dei residui. Il legislatore ha voluto porre un freno alla predisposizione di bilanci che pareggiano fittiziamente e a quelle altre situazioni patologiche della gestione del bilancio che di fatto sono la premessa per la costituzione di un disavanzo, II legislatore del 1986 ha anche imposto l’obbligo del riequilibrio del bilancio nel caso che il consuntivo si chiuda con un disavanzo o presenti debiti fuori bilancio: qualora l’ente non adotti il provvedimento di riequilibrio è prevista la comminazione delle medesime conseguenze previste per la mancata approvazione del bilancio.
Uno strumento di programmazione nell’utilizzo delle risorse è stato introdotto obbligatoriamente dall’articolo 4, nono comma, del decreto legge 2 marzo 1989 n. 65 convertito con modificazioni nella legge 26 aprile 1989 n. 155, con la previsione del piano finanziario: la norma prescrive che per ogni tipo di investimento si proceda preliminarmente ad un accertamento dei costi presenti e futuri dell’intervento ed all’indicazione delle risorse con le quali si farà fronte ai nuovi costi. Il piano finanziario era un programma di gestione con cui si autorizzava per il futuro l’impiego delle risorse disponibili necessarie per finanziare un progetto: una amministrazione avvertita avrebbe dovuto autonomamente predisporre tale strumento di gestione, ma si é constatato invece che diversi enti, anche con la complicità della normativa che per alcuni anni ha permesso la copertura integrale delle spese per la accensione di mutui, hanno stoltamente dato l’avvio ad investimenti rilevanti senza nulla prevedere su come affrontare le spese di gestione che derivavano dalle nuove opere.
Con la legge 19 marzo 1990 n. 55 sono state Introdotte nuove modalità di controllo sull’attività degli enti locali e di tutte le amministrazioni pubbliche in materia di rilascio di autorizzazioni amministrative nonché nell’attività contrattuale, sia per l’acquisizione di beni e servizi che per l’affidamento di lavori pubblici. Questa legge inoltre all’articolo 16 prevede l’ipotesi che le autorità preposte possono richiedere interventi di controllo e sostitutivi quando sia necessario assicurare il regolare svolgimento dell’attività delle pubbliche amministrazioni, avendo accertato nelle stesse tentativi di infiltrazione di tipo mafioso.
Gli operatori degli enti locali si trovavano di fronte ad un coacervo di norme che si interconnettevano fra loro e che si sovrapponevano ad altre precedenti, ma tuttora in vigore, in attesa di una armonizzazione della intera normativa di settore tanto acclamata ma che stentava a partire. Questa miriade di norme creava problemi di non facile applicazione perché queste norme non erano facilmente collegabili fra loro, in quanto frutto di vicissitudini politiche succedutesi in momenti storici diversi nel corso di questo secolo. Il legislatore ha voluto porre rimedio a questo stato di cose con tre provvedimenti epocali che hanno inciso su tutto il modo di gestire la cosa pubblica. Con la legge 24 aprile 1990 n. 86 è stato riscritto in chiave più consona ai principi della costituzione il titolo del codice penale nella parte che si interessa dei delitti contro la pubblica amministrazione.
Con la legge 8 giugno 1990 n. 142 viene codificato il principio che al politico compete il potere di indirizzo e di contrailo, mentre la conseguente gestione della cosa pubblica è un’incombenza di spettanza del funzionario. Infine con la legge 7 agosto 1990 n. 241 si codifica il principio della trasparenza della Pubblica Amministrazione.
A differenza della precedente normativa in materia di ordinamento degli enti locali, la legge n. 142 ha la struttura di una legge di principi che prevede l’emanazione di successive normative di attuazione anche a livello locale. La novità positiva sta nella potestà statutaria e in quella regolamentare che viene attribuita ai Comuni : è una potestà normativa diversa da quella regolamentare, dove i margini decisionali a livello locale sono piuttosto compressi, in quanto la legge spesso disciplina la materia nei minimi dettagli, ed è frequentemente tarata nella stessa misura sia per le città metropolitane che per i Comuni minori, che rappresentano invece la stragrande maggioranza degli enti locali. La legge n. 142 attribuisce ad ogni ente locale la facoltà di dotarsi di un proprio corpo normativo, lo statuto, che rappresenta la massima espressione della propria autonomia normativa il cui quadro viene implementato dalla potestà regolamentare: a ciascun ente locale viene riconosciuta una capacità normativa che non ha alcun riscontro nella legislazione pregressa che operava un appiattimento giuridico di tutti gli enti.
In attuazione della legge n. 142 ciascun ente, in base alle sue necessità, può effettuare delle scelte fra le varie opzioni organizzative previste dalla legge n. 142 che fissa i principi secondo i quali si svolge la vita degli enti locali e, operando la delegificazione in materia di ordinamento locale, demanda alla potestà normativa locale l’emanazione delle disposizioni di dettaglio.
La materia del controllo sugli atti degli enti locali viene ridisciplinata dall’articolo 41 e seguenti della legge n, 142, la quale ne prevede i principi fondamentali e demanda al legislatore regionale l’emanazione della normativa di dettaglio. La nuova legge prevede che vanno sottoposte al controllo preventivo di legittimità solo le deliberazioni di competenza dei consigli comunali e provinciali e quelle che i consigli e le giunte intendono sottoporre autonomamente all’esito del controllo del CO.RE.CO, nonché prevede che non sono soggette al controllo preventivo di legittimità le deliberazioni meramente esecutive di altre deliberazioni.
In materia di controllo degli atti la legge n. 142 innova l’ordinamento introducendo all’articolo 45 l’istituto del controllo eventuale di legittimità per le deliberazioni della giunta municipale, controllo che può essere attivato autonomamente da un determinato numero di consiglieri, sulle deliberazioni concernenti procedure contrattuali, contributi o compensi a persone, nonché trattamento giuridico ed economico dei dipendenti; al medesimo onere possono essere sottoposte anche le deliberazioni della giunta che essi ritengano viziate di incompetenza o contrastanti con gli atti fondamentali del consiglio. La medesima facoltà è stata attribuita per gli atti giuntali concernenti procedure contrattuali al Prefetto, nel contesto dei provvedimenti contro la criminalità organizzata, dall’articolo 15 del decreto legge 13 maggio 1991 n. 152 convertito nella legge 12 luglio 1991 n. 203.
Il controllo di merito sugli atti degli enti locali viene testualmente escluso dalla legge n. 142 essendo disposto che nel controllo degli atti non può essere effettuato il sindacato sull’interesse pubblico che viene perseguito dall’ente. Nell’esame del bilancio preventivo e del conto consuntivo è previsto che il controllo di legittimità comprende anche la coerenza interna degli atti e la corrispondenza dei dati contabili con il contenuto degli atti assunti dall’ente. Invece per gli atti che sono sottoposti a parere obbligatorio di altri enti pubblici, è previsto dall’articolo 50 della legge n. 142 che il parere venga espresso entro 60 giorni decorso il quale, salvo proroga, si prescinde dal parere.
Per garantire una miglior governabilità degli enti locali la legge n. 142 all’articolo 37 aveva introdotto l’istituto della mozione di sfiducia costruttiva tramite la quale era possibile sostituire la giunta e il sindaco, o il presidente della provincia, in caso di contrasto fra gli organi di amministrazione e l’organo di indirizzo e controllo: a seguito della elezione diretta del sindaco disciplinata dalla legge 25 marzo 1993 n. 81 questo istituto di controllo sugli organi è stato rivisitato nella mozione di sfiducia che, se viene approvata, comporta lo scioglimento del consiglio. Non rappresentano innovazioni rilevanti rispetto l’ordinamento giuridico precedente i casi di controllo sugli organi previsti dagli articoli 39, 40 e 48 della legge n. 142, che prevedono ipotesi di scioglimento dei consigli e di sospensione di amministratori degli enti locali. Un caso diverso di scioglimento dei consigli degli enti locali è previsto dall’articolo 15 bis della legge 19 marzo 1990 n. 55, introdotto dall’articolo 1 del decreto legge 20 dicembre 1993 n, 529 convertito nella legge 11 febbraio 1994 n. 108, qualora emergano collegamenti degli amministratori conforme di criminalità organizzata che compromettano la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni degli enti locali.
La legge n, 142 nel ridisciplinare l’ordina mento contabile e finanziario degli enti locali detta alcuni principi innovativi negli articoli 54 e 55 ma rinvia il riordino della materia alla legislazione successiva, acclarando all’articolo 59 la validità delle disposizioni vigenti alla data dì entrata in vigore della legge, se compatibili con i principi della medesima legge. Un primo esplicito riferimento all’attivazione del controllo di gestione viene fatto nell’articolo 57 nono comma stabilendo che lo statuto dell’ente può prevedere forme di controllo interno della gestione: in questo contesto l’attivazione del controllo interno costituisce soltanto una facultus agendi e non un obbligo per gli enti locali, i quali se vogliono attuarlo io devono prevedere nello statuto e quindi disciplinarlo nel regolamento di contabilità.
Questa norma perché possa esplicitare un quid novi va coordinata con altre della stessa legge n. 142 che prevedono la predisposizione di programmi, l’attribuzione dei compiti gestionali ai funzionari, la rilevazione dei dati consuntivi mediante contabilità economica (anche questa facoltativa) e la valutazione sull’efficacia e sulla efficienza dell’azione condotta, norme che introducono elementi di carattere economico nella gestione dell’ente locale. Per completare il quadro normativo scolpito dalla legge n. 142 il legislatore è intervenuto con la legge 23 ottobre 1992 n. 421 che all’articolo 2 estende a tutto l’arco del settore pubblico diversi principi già contenuti nella legge n. 142 e all’articolo 4 detta i principi di attuazione degli articoli 54 e 55 della stessa legge 142 in materia tributaria e contabile, demandando all’autorità governativa la potestà di assumere i conseguenti atti normativi aventi forza di legge. Con queste leggi si assiste ad un progressivo restringimento dell’area regolata esclusivamente dal diritto pubblico nella gestione degli enti pubblici ed una contestuale evoluzione verso moduli propri della disciplina privatistica.
La nuova impostazione organizzativo-contabile degli enti locali in attuazione della legge 421 è stata varata con il decreto legislativo 25 febbraio 1995 n.77, che è un provvedimento quadro di indirizzo più che di dettaglio, con ben 124 articoli tutti da assimilare e tradurre nella realtà di ciascun ente. Questo decreto, sulla scorta della legge delega, prevede il riordino dell’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali attenendosi ad una armonizzazione con i principi della contabilità generale dello Stato, tenendo a mente le esigenze del consolidamento dei conti pubblici, ed introducendo gradualmente in tutti gli enti un sistema di contabilità economica per la determinazione dei costi e degli ammortamenti dei servizi. Si tratta di una vera svolta delle modalità’ di gestire per gli enti locali : una svolta che la legge n.142 aveva anticipato e che dobbiamo ancora concretizzare, dato che la legge n.81 sulla elezione diretta del sindaco da parte dei cittadini ha aperto nuovi orizzonti nella governabilità degli enti locali. Ci viene chiesto ancora una volta dopo la legge n.142 uno sforzo di conversione ed adattamento la cui portata va ancora ben inquadrata.
In materia contabile il potere regolamentare assegnato agli enti locali ha margini più ampi e significativi rispetto agli altri regolamenti, margini tali da permettere un vero adattamento delle norme alle varie dimensioni ed organizzazioni interne che hanno i singoli enti: si tratta di una sfida che va accettata, di un’occasione che non va sprecata.
Dovremmo saper rifiutare la logica del regolamento tipo copiato approfittando della proroga al 30 giugno 1996 fissata dalla legge n. 539/1995 per l’adeguamento del regolamento di contabilità: mi rendo certo conto che non ci si può improvvisare legislatori, ma è evidente che la potestà regolamentare accanto alla potestà statutaria è una delle potenzialità più significative degli enti locali; inoltre è da tener presente che con l’approvazione del regolamento di contabilità, oltre le norme abrogate dall’articolo 123 del decreto legislativo n. 77, vengono meno tutte quelle norme della previgente legislazione abrogate dall’articolo 64 della legge n. 142 ma finora rimaste applicabili sussidiariamente in base alla previsione dell’ultimo comma dell’articolo 59 della stessa legge n. 142.
Ed è soprattutto nel regolamento di contabilità che va ricercato e trovato il delicato equilibrio tra i compiti di indirizzo e quelli di gestione, equilibrio che negli statuti è stato acclarato sempre a livello teorico, come nella legge n.142. La auspicata separazione, enunciata dai testi di legge degli ultimi anni, diventa oggi una reale possibilità : ma se non la si costruisce su equilibri accettabili, potrà solo far sorgere nuovi conflitti. Le norme richiedono sempre più al dipendente di compromettersi con attestazioni di legittimità procedurale, a livello giuridico e contabile, che possono portare il singolo dipendente davanti a responsabilità non sufficientemente chiarite o comunque tali da preoccuparlo. La struttura organizzativa comunale, nel trovarsi a gestire questa nuova autonomia, rischia infatti di rincorrere l’autodifesa con una fuoriuscita dalle responsabilità legate al perseguimento in prima istanza degli indirizzi politico-amministrativi.
Nessuno vuoi disconoscere che si sta ampliando l’area di rischio per i funzionari, chiamati a maggiori compiti di responsabilità, ma va pur evidenziato che tra queste responsabilità deve essere data preminente attenzione, o almeno di pari spessore, agli obiettivi fissati dall’amministrazione, rispetto la mera legittimità delle procedure. Gli amministratori non possono trovarsi una struttura organizzativa assillata dalle responsabilità tecnico-giuridiche e meno sensibile alle responsabilità verso gli amministratori locali, verso il loro programma, verso le esigenze della comunità locale pagante.
L’autonomia impositiva locale, che ha soppiantato in questi ultimi anni l’impostazione ventennale dei bilanci basati su risorse prevalentemente trasferite, obbliga una attenzione crescente dell’amministrazione verso gli utenti, che nel loro insieme riversano risorse significative all’ente locale. Da parte della struttura burocratica questa attenzione deve manifestarsi verso i programmi degli amministratori, che nessuno può negare essere i rappresentanti legali della comunità locale. Il decreto legislativo n.77 non lascia spazio nel bilancio alle statuizioni dei cosi detti obiettivi politici, che non sono supportati da reali finanziamenti e che rappresentano una mera proiezione del programma politico : questa è la diretta conseguenza della esplicitazione del principio della veridicità del bilancio, che nella pregressa legislazione era sottintesa ma non codificata. Inoltre l’autonomia gestionale assegnata ai responsabili dei servizi obbliga sempre più gli amministratori locali a rendere espliciti e dettagliati i loro programmi, il che è già un pezzo significativo della rivoluzione in atto. Per converso i responsabili di servizio sono obbligati ad attenersi sempre più agli obiettivi amministrativi, al di là delle giuste cautele per il rispetto delle procedure. Siccome i responsabili dei servizi rispondono del raggiungimento degli obiettivi, che sono fissati da altri, avendo a disposizione delle risorse, anche queste decise da altri, perché il sistema possa funzionare ed i responsabili dei servizi siano motivati nel raggiungimento degli obiettivi, è necessario che i funzionari partecipino fin dall’inizio alla predisposizione del bilancio e che la bozza di bilancio sia il risultato di un impegno congiunto fra giunta e struttura tecnico-amministrativa. L’amministrazione deve quindi verificare con la struttura quali obiettivi generali, contenuti nel suo programma, sono traducibili in obiettivi operativi, da riportare nella relazione programmatica e da inserire nel bilancio. Inoltre gli obiettivi devono essere definiti con molta precisione perché chi ha scelto l’obiettivo in assenza di una sua buona formulazione può trovarsi a consuntivo con un risultato diverso da quello atteso.
Individuati gli obiettivi che si vogliono raggiungere, si deve enucleare, al di là degli schemi gerarchici piramidali, un responsabile del loro raggiungimento al quale competerà il coordinamento di lavoratori appartenenti anche ad unità operative diverse dalla propria ma coinvolte nel progetto. Il responsabile del progetto deve formulare il parere di fattibilità dello stesso, evidenziandone tutti gli adempimenti necessari per la sua realizzazione nonché la temporalizzazione dello stesso. Gli amministratori non puntano a togliersi dalle spalle il peso delle responsabilità che sanno di avere ma si aspettano un’applicazione delle norme che mette al primo posto la cultura dell’obiettivo e del risultato da raggiungere e non del timore verso presunte illegittimità formali o procedurali. Per un miglior utilizzo delle risorse a disposizione sì devono attivare procedure lavorative che contengono sistemi razionali di coordinamento delle unità lavorative, che evitino duplicazioni di analoghi adempimenti, che comportano II superamento del concetto di competenza intesa come compiti staticamente attribuiti ad un ufficio, e nell’ambito dell’ufficio ad un dipendente, per recepire il concetto di competenza intesa come attitudine professionale personale. Il decreto legislativo n. 77 all’articolo 11 prevede che questa individuazione venga effettuata dall’organo esecutivo successivamente all’approvazione del bilancio ma prima dell’inizio dell’esercizio: nel contempo vanno affidate ai responsabili dei servizi le dotazioni finanziarie necessarie per il raggiungimento degli obiettivi. Per rendere più agevoli queste operazioni, ad integrazione delle ripartizioni del bilancio previste dall’articolo 7, si possono ulteriormente graduare le risorse dell’entrata in capitoli nonché i servizi e gli interventi della spesa rispettivamente in centri di costo e in capitoli.
Questa operazione, definita piano esecutivo di gestione, è obbligatoria per gli enti locali che hanno una popolazione superiore a 20.000 abitanti, ma dovrebbe essere fatta propria da tutti gli enti perché é tramite il piano esecutivo di gestione che il bilancio da strumento autorizzativo diviene uno strumento di gestione.
Per garantire il raggiungimento degli obiettivi programmati, la correttezza e l’economicità nell’utilizzo delle risorse pubbliche gli enti locali attiveranno il controllo di gestione previsto dall’articolo 39 del decreto legislativo n.77: dato che anche gli enti locali sono un’azienda, il controllo di gestione va posto in essere da tutti gli enti e si individua nella procedura diretta a verificare lo stato di attuazione degli obiettivi programmati e la funzionalità dell’organizzazione dell’ente, l’efficacia, l’efficienza e il livello di economicità nell’attività di realizzazione dei predetti obiettivi; il controllo di gestione ha per oggetto l’intera attività amministrativa e consente anche la verifica dell’andamento di particolari progetti. Mettere sotto controllo la gestione dell’ente in quest’ottica significa mettere a nudo i problemi che si registrano per cercare soluzioni agli stessi che siano coerenti. Le precitate verifiche si attuano attraverso l’analisi delle risorse acquisite e la comparazione dei costi sostenuti con la qualità e la quantità dei servizi erogati. Il controllo di gestione ha anche il compito di garantire l’imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione nonché la trasparenza dell’azione amministrativa, in quanto l’azione dell’ente deve essere rivolta a soddisfare le attese dell’intera comunità e non deve ritenere giusto solo ciò che gli interessa.
Sulla impostazione del controllo di gestione il decreto legislativo n. 77 lascia spazio alla potestà regolamentare di ciascun ente: per avere una certezza che esso non venga subito come una ingerenza nella propria attività da parte di un altro servizio, l’attivazione del controllo di gestione dovrà essere preceduta da un lavoro collegiale di confronto fra amministratori e funzionari per individuare di concerto quali modifiche organizzative sono necessarie per passare da un sistema di lavoro basato sulla competenza funzionale ad un sistema volto al raggiungimento dei risultati.
Per le modalità di svolgimento di questo controllo viene fatto esplicito riferimento alla normativa prevista dall’articolo 20, comma secondo, del decreto legislativo n.29 e successive modificazioni. Il decreto legislativo n. 77 prevede una procedimentalizzazione del controllo di gestione in tre fasi che comportano: a) la predisposizione di un sistema dettagliato di controllo in cui vengono individuati gli obiettivi da analizzare; b) la raccolta dei dati sui risultati raggiunti, sui costi sostenuti e sui proventi accertati; c) la valutazione dei risultati ottenuti e la formulazione di eventuali suggerimenti. Si tratta quindi di una metodologia finalizzata ad aiutare gli organi di direzione politica e quelli di gestione amministrativa a governare meglio la cosa pubblica.
L’ufficio a cui viene assegnata la funzione di controllo di gestione verifica se i comporta menti sono consoni al raggiungimento degli obiettivi e fornirà le conclusioni dell’attività svolta agli amministratori, per analizzare lo stato di attuazione degli obiettivi programmati : dette conclusioni vanno comunicate anche ai dirigenti affinché siano in possesso degli elementi necessari per valutare l’andamento della gestione dei servizi di cui sono responsabili. Si tratta di un controllo concomitante che serve ad intercettare tempestivamente i comportamenti difformi dal raggiungimento degli obiettivi e dal rispetto delle norme. La responsabilità del funzionario in presenza di un mancato obiettivo va meglio definita perché deve avere un giusto rilievo, a meno che non si voglia con una interpretazione involutiva far ricadere questa responsabilità sul singolo assessore o meglio sul Sindaco o sul Presidente, anche nel caso in cui l’apparato lavori in tutt’altra direzione. Il regolamento di contabilità potrà definire particolari cadenze periodiche per la presentazione del referto sul controllo di gestione, ma l’attività dei servizi di controllo interno a nostro parere dovrà svolgersi durante l’intero arco dell’esercizio finanziario. Dato che la Sezione Enti Locali della Corte dei Conti e le Delegazioni Regionali della stessa sono state investite dall’articolo 3, settimo comma, della legge 14 gennaio 1994 n. 20 della potestà di effettuare valutazioni sul funzionamento dei controlli interni sarà opportuno che l’ufficio che curerà il controllo di gestione predisponga una relazione sui risultati raggiunti nel corso di un esercizio finanziario. Il controllo di gestione viene svolto facendo riferimento ai singoli servizi ed agli eventuali centri di costo, ove individuati, verificando in maniera complessiva e per ciascun servizio i mezzi finanziari acquisiti, i costi dei singoli valori produttivi nonché i risultati ottenuti sia in termine di qualità e di quantità che in termini di ricavi. L’ufficio incaricato del controllo di gestione deve operare in posizione di autonomia rispetto gli altri uffici e rispondere esclusivamente agli organi di direzione politica.
Le difficoltà evidenziate dagli enti locali nella prima applicazione dei principi contenuti nel decreto legislativo n. 77 e quelle incontrate dal governo nella predisposizione del regolamento previsto dall’articolo 114 del medesimo decreto, hanno indotto il governo ad usare la decretazione d’urgenza per differire all’esercizio 1997 l’entrata a regime del nuovo bilancio per gli enti locali: a tal fine gli articoli 7 e 8 del decreto legge 28 agosto 1995 n. 357 hanno previsto una nuova scaletta temporale degli adempimenti di applicazione del decreto legislativo n. 77 e le modalità di predisposizione del bilancio di previsione per l’esercizio 1996. Il governo ha però disposto al punto dì dell’articolo 8 che la giunta, entro il termine di sette giorni successivi alla deliberazione del bilancio 1996, provvede ad individuare per ciascun responsabile di servizio i capitoli che sono affidati alla sua gestione, affinché questi possa procedere autonomamente agli atti di impegno e di liquidazione sulla scorta del programma amministrativo. Al riguardo si deve eccepire che chi ha esperienza di vita pubblica sa bene che un simile termine é di fatto impraticabile, anche da una giunta efficiente considerando che per di più questo é il primo anno di sperimentazione della nuova normativa. Lo scopo teleologico di questa disposizione, riproposta dall’articolo 9 del decreto legislativo 27 ottobre 1995 n. 444 che reitera il decaduto decreto 357, è di fornire a tutti gli enti per l’esercizio 1996 uno strumento di gestione alternativo al piano esecutivo di gestione: il legislatore però nel convertire il decreto 444 con la legge 20 dicembre 1995 n. 539 ha stabilito che nel caso in cui la deliberazione di attribuzione dei capitoli ai funzionari non sia stata adottata, la competenza ad assumere gli atti di gestione rimane attribuita alla giunta dell’ente locale. Da più parti si è eccepito che, con questa modifica al testo del decreto legge, il legislatore con un comportamento involutivo abbia voluto cancellare i principi della 142 che prevedono la separazione fra attività di indirizzo e controllo e attività di gestione. A nostro parere con questa norma il legislatore ha voluto solo evidenziare la necessità di fissare un termine ristretto per designare i funzionari incaricati di dar corso agli atti di gestione, dato che il bilancio viene approvato dopo l’inizio dell’esercizio finanziario, e nel contempo fissare una norma che dia la possibilità alla giunta, ma per il solo esercizio 1996, di rimanere destinataria di dette funzioni qualora, dati i tempi ristretti, non si sia potuto predisporre il bilancio con tutti i nuovi criteri e non si siano individuati i singoli funzionari responsabili della gestione di ogni capitolo del bilancio. Dato che però la norma non pone alcun limite alle giunte, sorge il sospetto che esse potrebbero anche non assegnare la maggioranza dei capitoli oppure, con una interpretazione più benevola, rinviare ad un momento successivo l’assegnazione dei capitoli per poter meglio riflettere sui programmi approvati dal consiglio: ma questa seconda ipotesi non è prevista dalla legge. Con questa modifica il legislatore ha anche voluto spingere gli enti locali ad approvare i bilanci quanto prima, dato che il nuovo ordinamento contabile non prevede la possibilità di ricorrere all’esercizio provvisorio prima della adozione del bilancio: ciò tuttavia non affievolisce il fatto che questa norma deroga surrettiziamente al principio della separazione fra compiti di indirizzo e compiti di gestione introdotto dalla 142 ed esteso a tutte le pubbliche amministrazioni dal decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29.
Le norme ora richiamate ci fanno riflettere su quali possibilità hanno di effettuare un controllo di gestione i cosiddetti “comuni minori” : intendo riferirmi ai Comuni con meno di 10.000 abitanti, che rappresentano la maggioranza, costretti ad operare in una precarietà spesso insostenibile, con limitazioni alla pianta organica non solo quantitative ma soprattutto qualitative, dato che per questi comuni è ormai anacronistica la limitazione di non poter annoverare nella dotazione organica figure dirigenziali, che sono invece più consone agli obblighi ed alle responsabilità introdotte per legge. La parola dirigente nei piccoli comuni deve intendersi riferita all’impiegato preposto alla funzione, in quanto è impensabile che tutte le funzioni “dirigenziali” nel piccolo comune vengano accentrate nella figura del segretario dell’ente, considerando anche il fatto che gran parte dei comuni più piccoli svolgono il servizio di segretaria comunale in convenzione con altri comuni. Il regolamento di contabilità dovrà puntualizzare i compiti del segretario dell’ente nel contesto delle funzioni del controllo di gestione in quanto, spettando a lui ai sensi dell’articolo 52 terzo comma della legge n. 142 la sovraintendenza allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti, è il soggetto predestinato a coordinare i servizi di controllo. C’è il sospetto che il legislatore non sia stato debitamente messo al corrente dello stato di disagio in cui si trovano ad operare i comuni minori dopo l’emanazione della legge n. 142 o che con queste norme, facendo leva sulla complessità degli obblighi e delle procedure, punti implicitamente a spingere i piccoli comuni alle unioni ed alle fusioni, ipotizzate dalla legge n.142 ma non recepite dagli amministratori, La prospettiva di attivare il controllo di gestione negli enti locali ci porta a formulare alcune considerazioni sull’attività di controllo. I controlli consistono nella possibilità che un organo ha di valutare e sindacare l’operato di un altro organo con potestà di incidere sugli atti sottoposti a controllo secondo modalità, tempi e scopi stabiliti da parametri predeterminati. L’attività di controllo non deve essere tesa a reprimere l’attività degli enti controllati ma deve essere finalizzata a impedire all’ente controllato di porre in essere azioni illegittime o contrarie ad interessi pubblici più generali. Il controllo, in base al principio costituzionale dell’autonomia degli enti locali, deve rappresentare una feconda collaborazione tra organi diversi volta ad una maggior efficacia dell’attività amministrativa nonché ad un più consapevole raffronto tra finalità da raggiungere e precetti normativi da rispettare. Un ente che opera nel rispetto della legge, quindi, non ha nulla da temere da parte degli organi di controllo, considerando anche il fatto che sugli atti sottoposti al controllo di legittimità l’organo deliberatamente ha sempre la facoltà di dichiararli immediatamente esecutivi, per cui non è obbligatoriamente tenuto ad aspettare gli esiti di questo controllo per la loro esecuzione.
Facendo riferimento all’organo che esercita il controllo si fa la distinzione fra controllo esterno, che viene attivato da un organo estraneo all’ente, e controllo interno, che è di competenza di un organo dell’ente L’attività di controllo è tanto più efficace quanto è più vicina alla realtà amministrativa nei confronti della quale deve operare: il controllo esterno può rivolgersi solo sulla gestione svolta, mentre quello interno può essere attivato anche durante la gestione. Il controllo esterno essendo un controllo successivo può fornire dei suggerimenti solo per il futuro; il controllo interno da invece la possibilità di adottare dei correttivi anche in corso di gestione. In una amministrazione avvertita l’azione di controllo interno non deve essere sporadica ma continua: i controlli interni sono molto più penetranti di quelli esterni e talvolta sono rivolti anche al merito dell’azione amministrativa. E’ doveroso precisare che è errata quella corrente di pensiero che inquadra nell’attività di controllo la emissione dei pareri da parte dei funzionari e del segretario dell’ente previsti dall’articolo 53 della legge n. 142, nonché la formulazione dei pareri e delle relazioni che si richiedono su determinati atti all’organo di revisione: questi soggetti esternano una loro dichiarazione di conoscenza su una proposta di atto amministrativo, dichiarazione che può essere disattesa dall’organo deliberante nell’esplicitazione del suo potere discrezionale; questi soggetti rispondono delle loro attestazioni perché è con il loro supporto obbligatorio che gli amministratori assumono le determinazioni di propria competenza.
Non rientra nell’ottica dei controlli sull’attività degli enti locali la funzione svolta dalla Corte dei Conti sui conti consuntivi, sia da parte delle sue sezioni giurisdizionali che da parte della Sezione Enti Locali. Le sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti hanno il compito di svolgere un procedimento giurisdizionale sull’operato degli agenti contabili degli enti locali. Prima della emanazione della legge n. 142 era tenuto alla presentazione del conto della sua gestione alla Corte solo il tesoriere: l’articolo 58 di questa legge ha previsto che sono tenuti a questo onere tutti gli agenti contabili che hanno maneggio dì denaro o sono incaricati della gestione dei beni degli enti locali, nonché coloro che si inseriscono negli incarichi attribuiti a detti agenti. Nel passato, non essendo previsto nel contesto della legge comunale e provinciale un modello del conto del tesoriere distinto dal conto dell’ente, la Corte acquisiva l’intero consuntivo dell’ente locale nonché le determinazioni dell’ente che sono necessarie per verificare le eventuali responsabilità del tesoriere. Originariamente il sindacato sul conto del tesoriere veniva svolto dal consiglio di Prefettura ma a seguito delia dichiarazione di incostituzionalità di questo organo la competenza in materia è stata riconosciuta in capo alla Corte dei Conti. La Corte dei Conti nell’intraprendere l’esame dei conti degli enti locali, invece di attivare il mero giudizio di conto nei confronti del tesoriere, aveva preso la tendenza ad esaminare i risultati sintomatici della gestione dell’ente locale, tendenza che si configurava in accertamenti che in realtà erano prelusivi ad un eventuale giudizio di responsabilità, ma che invece venivano intesi dai più come una ingerenza nella gestione dell’ente locale.
Con l’articolo 13 del decreto legge 22 dicembre 1981 n. 786 convenite con modifica nella legge 26 febbraio 1982 n. 51 si è disposto l’invio dei conti consuntivi dei comuni, con più di 8.000 abitanti e delle province alla Sezione degli Enti Locali della Corte dei Conti al fine che la stessa effettui un referto al parlamento sull’esame compiuto dei conti degli enti locali: la funzione di questo referto è quella di offrire al legislatore suggerimenti per meglio legiferare lumeggiando sulla realtà degli enti locali. Questa attività di referto manca di qualsiasi aspetto sanzionatorio, restando comunque in capo alla sezione l’obbligo di segnalare al procuratore della Corte gli enti inadempienti e di notiziare al giudice ordinario gli eventuali fatti illeciti che emergono dall’esame dei conti.
Non rientra nell’attività di controllo degli enti locali neppure l’invio alla Corte dei Conti, entro il mese di maggio, per il tramite delle Ragionerie Provinciali dello Stato, del conto delle spese sostenute per il personale, perché l’adempimento ha una valenza ricognitiva anche se alla sua mancata esecuzione è collegata una sanzione: la mancata presentazione del conto e della relativa relazione implica la comminazione della sospensione dei trasferimenti erariali all’ente inadempiente. Il conto è accompagnato da una relazione in cui le amministrazioni espongono i risultati della gestione del personale con riferimento agli obiettivi che, per ciascuna amministrazione, sono stabiliti dalle leggi, dai regolamenti e dagli atti di programmazione. A questo adempimento ai sensi dell’articolo 64 del decreto legislativo n. 29 sono tenute tutte le pubbliche amministrazioni al fine di permettere alla Corte di Conti di riferire al Parlamento annualmente sulla gestione delle risorse finanziarie destinate al personale del settore pubblico.
Si deve evidenziare che in materia di attività di controllo negli enti locali la legislazione repubblicana è stata ricettiva di un precedente ordinamento in cui l’intervento della pubblica amministrazione era limitato ed il buon andamento si poteva identificare con il semplice rispetto delle leggi.
Con l’ampliamento degli interventi dell’ente pubblico nel contesto sociale ed economico è sorta la necessità di verificare, come opportuno in ogni azienda, anche la rispondenza dell’attività amministrativa ai fini che ci si è proposti di raggiungere.
Ne è scaturita quindi la necessità di effettuare un controllo più sostanzioso sui comportamenti della pubblica amministrazione per verificare se essi sono efficaci, efficienti ed economici per il raggiungimento degli obiettivi programmati.