L’individuazione dei beni soggetti all’uso civico e dei loro occupatori

L’istituto degli usi civici trova la sua origine nella organizzazione feudale e di conseguenza ha avuto una regolamentazione a livello locale sedimentasi nei tempi che non trova una univoca applicazione. La loro origine storica risale, infatti, ai tempi in cui i feudatari concedevano l’utilizzo dei terreni di loro sovranità ai vassalli per soddisfare le necessità primarie della comunità da loro governata. Cessata l’era feudale i Comuni subentrarono in questi diritti dei feudatari e si costituirono dei demani comunali il cui godimento fu riservato agli abitanti del Comune, che spettando ad essi quali cittadini del Comune furono denominati “usi civici”. La dizione “usi” utilizzata per individuare questo istituto, che è stato integrato dall’aggettivazione “civici”, è stata utilizzata in quanto le disposizioni sulla legge in generale, che precedono il Codice Civile, comprendono fra le fonti di cognizione del diritto anche gli usi: Il godimento di questi beni, sia collettivo sia singolo, ebbe diversa regolamentazione da posto a posto, avendo però una origine nel loro uso collettivo e nella distinzione fra usi di carattere essenziale, ovvero necessari alla vita della famiglia (raccolta di legna, pascolo, semina, pesca, ecc.), e usi con carattere di “industrie” (utilizzo dei boschi, di derivazione d’acqua, ecc.).

In diverse località si riscontra l’esistenza di terreni la cui proprietà è intestata alla comunità indistinta dei cittadini che dimorano nella frazione in cui sono ubicati questi beni. L’uso di questi beni è riservato ai frazionisti e viene esercitato in base alla natura del bene ma con modalità diverse da zona a zona: questa destinazione di uso a favore della collettività dei frazionisti implica per questi beni una connotazione di demanialità, la cui gestione è regolata dalle norme sugli usi civici. L’uso civico si può definire come la servitù di utilizzo di un bene a favore della comunità indistinta dei cittadini residenti nelle località ove è ubicato il bene. Titolari di questi diritti di uso civico sono le famiglie che vivono nell’ambito territoriale a favore delle quali risulta destinato l’uso del bene. Questi diritti attribuiscono ai frazionisti la facoltà di effettuare, previa formale assegnazione di una realità, su questi terreni il pascolo, la semina, la caccia, la raccolta della legna, la raccolta dei prodotti del sottobosco, ecc. In altri casi il diritto di uso civico può essere esercitato solo collegialmente dai componenti la frazione: tipico al riguardo è l’uso dei boschi, per la cui gestione alcune comunità si sono autoregolamentate con delle norme (famose sono al riguardo le “regole ampezzane”).

Avendo l’uso civico, un carattere demaniale, ad esso si applica il relativo regime di inalienabilità, inusucabilità e imprescrittibilità e, conseguentemente, gli istituti di diritto civile negli atti di disposizione degli usi civici vengono presi in considerazione solo per analogia. Da questa caratteristica ne discende che se un atto ha per oggetto un bene soggetto ad uso civico, esso produce i suoi effetti a meno che non venga impugnato se le modalità di cessione o l’uso cui viene adibito sia contrario alla normativa sulla gestione degli usi civici. Anche se il possesso di questi beni non può costituire titolo per acquisire la proprietà, nei rapporti tra privati è concessa ugualmente l’azione di spoglio e di manutenzione rispetto i beni di uso civico assegnati a chi non ne ha diritto. Da questa demanialità era derivato un orientamento della giurisprudenza che riteneva carenti di potere ablatorio gli atti di espropriazione nei confronti dei beni di “demanio civico”: in altri termini, si attribuiva maggiore rilevanza al godimento collettivo agro-silvo-pastorale rispetto alla pubblica utilità di altra natura e conseguentemente si subordinava il potere di esproprio ad un atto formale di sclassificazione. L’articolo 12 della legge 31 gennaio 1994 n. 97, che detta nuove disposizioni per le zone montane (ma la norma analogicamente si estende a tutti gli usi civici), ha affievolito questa priorità prevedendo che nei comuni i decreti espropriazione per opere pubbliche o di pubblica utilità determinano la cessazione degli usi civici, gravanti sui beni oggetto di esproprio, trasferendo il diritto civico sull’indennità di esproprio e sostituendo il provvedimento commissariale di sclassificazione con l’autorizzazione amministrativa di esproprio.

Dopo il completamento dell’unificazione della nostra nazione, si rese necessario dare una composizione unitaria agli usi civici con la legge 16 giugno 1927, n. 1766 e nel successivo regolamento di attuazione. Lo scopo primario della legge sul riordino era quello di accertare e liquidare gli usi civici esistenti, assegnando i relativi terreni agli aventi diritto (coloro che gestivano i singoli beni) e trasferendo i beni indivisibili nel patrimonio dei Comuni.

La legge comunale e provinciale del 1915 ed il successivo testo unico del 1934 disponevano all’art. 84 terzo comma che l’amministrazione dei beni di riconosciuta proprietà collettiva poteva essere affidata dal Prefetto ad un commissario, scelto di regola fra i frazionisti. Dopo l’emanazione della Costituzione repubblicano il legislatore, sulla base del principio dell’autonomia che spetta agli enti locali, ha previsto con la legge 17 aprile 1957, n. 278 che all’amministrazione separata dei beni di proprietà dei frazionisti provvede un comitato di cinque membri eletti fra i cittadini residenti nella frazione, permettendo così che i beni collettivi fossero governati da persone indicate dai stessi fruitori dei beni. In assenza della nomina di tale comitato la gestione dei beni di uso civico spetta al comune, ma con l’obbligo di tenere una gestione separata di detti beni perché i ricavi di queste gestioni vanno reinvestiti in opere a favore della comunità di appartenenza.

In esecuzione della legge 1766 vennero attivate le Commissioni regionali per la liquidazione degli usi civici, le quali avevano il compito di promuovere in ciascun Comune l’accertamento dei beni soggetti ad uso civico e degli eventuali utilizzatori a titolo personale, e alle stesse era stata attribuita la potestà giurisdizionale in materia. Si deve evidenziare che nello statuto albertino non vi era menzione delle regioni amministrative, che al tempo si identificavano nei territori di competenza delle corti di appello. I Commissari, che sovrintendono alle operazioni di accertamento e liquidazione degli usi civici, vengono scelti fra i magistrati di grado non inferiore a quello di consigliere di Corte d’Appello. Per lo svolgimento di queste operazioni viene incaricato in ciascun comune un perito il quale ha il compito di procedere alla rilevazione dei beni in questione distinguendoli per comune censuario, alla loro valutazione ed all’individuazione degli occupanti, anche con prove testimoniali, per proporre a loro favore la legittimazione. La legittimazione consiste nell’affidamento in concessione perpetua di un terreno, appartenente alla comunità, ad una persona della frazione dietro la corresponsione di un canone e con l’obbligo di apportarvi delle migliorie al terreno. I ricavati dei canoni e delle vendite devono essere riutilizzati nell’esecuzione di opere di interesse generale per la comunità a cui appartengo. L’analisi peritale deve individuare anche i beni civici che, rispetto la loro utilizzazione originaria, hanno perso il loro interesse di uso collettivo (pascolo che a seguito dell’inurbamento è diventato area urbana) e quindi non vanno più compresi fra i beni di uso civico ma che possono essere alienati e quelli che, essendo pubblici per loro natura (strade, corsi d’acqua, ecc.)fanno parte dei beni pubblici. La perizia include anche quel beni che nella frazione sono di uso pubblico ma sui quali non esiste una destinazione specifica a favore dei frazionisti (es. strade). I Commissari, sulla base della perizia predisposta dal tecnico incaricato, approvano il bando con cui vengono invitati gli aventi diritto a formulare, entro un determinato termine, la richiesta di legittimazione. La competenza all’emanazione dei provvedimenti di disposizione dei terreni soggetti ad usi civici, su conforme parere del Commissario regionale, era demandata dalla legge 1766 agli uffici del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste. La cognizione dei reclami contro le decisioni dei Commissari sulle questioni concernenti l’esistenza, la natura e la rivendicazione del possesso dei terreni soggetti al peso degli usi civici è attribuita alla Corte d’Appello. Con l’istituzione delle Regioni a statuto ordinario è stata trasferita dall’art. 66 del DPR n. 616/1977 agli uffici regionali la competenza al rilascio di queste autorizzazioni, mentre resta in capo al Commissariato per la liquidazione degli usi civici la vigilanza sull’utilizzo dei beni e sul ricavato della loro vendita. E’ stata attribuita alle regioni competenza legislativa in materia di usi civici per rimediare alla artificiosa unitarietà di disciplina giuridica della legge 1766 in una disciplina che ha avuto origini e svolgimenti localmente differenti, perché sia data la dovuta rilevanza giuridica a consuetudini e tradizioni, radicatesi sul territorio, riconducibili ad usi antichissimi anche di origine romana o germanica.

Il trasferimento delle competenze alla nostra regione era già avvenuto con la legge costituzionale 31 gennaio 1963 n° 1 che approva lo Statuto speciale della regione ed è disciplinato dal DPR 26 agosto 1965 n° 1116, che detta le norme di attuazione dello statuto speciale. Inizialmente i compiti amministrativi in materia di usi civici furono affidati all’Assessorato Regionale dell’Agricoltura, in conformità alla normativa statale che aveva attribuito tale espletamento al Ministero dell’agricoltura e delle foreste (art. 7 legge regionale 31 agosto 1964 n° 1). Con la legge regionale 18 agosto 1990 n° 34 è stato istituito presso la Direzione Regionale delle Autonomie Locali il Servizio degli usi civici con il compito di curare l’istruttoria di tutti gli atti da sottoporre alla Giunta Regionale ed al suo Presidente, su proposta e parere del Commissariato regionale per la liquidazione degli usi civici. A questo servizio inoltre compete curare gli adempimenti necessari per l’istruttoria di ricorsi prodotti a fronte di atti non definitivi del Commissariato regionale per la liquidazione degli usi civici, attuare ogni iniziativa utile per il collegamento con gli Enti Locali nelle materie di sua competenza nonché provvedere ad ogni altro adempimento di competenza regionale in questa materia.

Il legislatore ha riconosciuto la validità della disciplina degli usi civici e si è premurato in più circostanze di salvaguardare le aree interessate ad uso civico da un loro scriteriato utilizzo. Si ricordi in particolare il decreto Galasso del 21 settembre 1984 che ha incluso le zone gravate dagli usi civici negli elenchi delle bellezze naturali d’insieme sottoposte a vincolo paesaggistico. Successivamente con la legge sul condono edilizio sono state previste norme tese a salvaguardare la destinazione ad uso promiscuo delle aree gravate dall’onere degli usi civici. Non si può disconoscere l’utilità sociale ed ambientale di questa normativa che, anche se interessa principalmente i Comuni con vocazione rurale, ha salvaguardato dal frazionamento e da un insensato uso i patrimoni boschivi, specie nelle zone montane.

I Comuni, nel cui territorio esistono terreni soggetti alla disciplina sull’uso civico, nel predisporre gli statuti comunali previsti dalla legge 8 giugno 1990 n. 142 sull’ordinamento delle autonomie locali (ora confluita nel testo unico sull’ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267), ed il regolamento di contabilità possono inserire apposite norme per integrare autonomamente a livello locale la materia degli usi civici. Infatti uno dei pregi introdotti dalla legge n. 142 è stato il superamento dell’appiattimento giuridico dei comuni, operato dalla legislazione previgente, prevedendo che gli statuti regolamentino particolari istituti che meglio caratterizzano ciascun comune. Questa potestà ora va riletta alla luce delle modifiche apportate al titolo V della Costituzione che hanno dato agli enti locali pari dignità, nella sfera di loro competenza, rispetto le Province, le Regioni e lo Stato.

Esaminando le competenze spettanti ai comuni in materia di usi civici, è doveroso richiamare il decreto legislativo n. 77/1995 ( anche esso ora recepito dal nuovo testo unico) con cui è stato aggiornato l’ordinamento contabile degli enti locali prevedendo una separata approvazione del conto del patrimonio, in cui deve essere evidenziata la gestione dei ricavi ottenuti dai beni di uso civico, non amministrati dagli eventuali appositi comitati. In particolare nell’aggiornamento degli inventari gli enti locali dovranno porre attenzione anche allo stato di fruizione dei beni immobili intestati alle singole frazioni, anche in considerazione della circostanza che il conto patrimoniale (art. 230 del t.u.) è un documento contabile, che va successivamente presentato alla Corte dei Conti per la verifica delle modalità di gestione dei beni pubblici.

Fra i beni soggetti a diritti collettivi si distinguono quelli che possono essere assegnati e utilizzati da singole persone per necessità di sostentamento della famiglia,

previo riconoscimento del loro diritto all’uso del bene pubblico e dietro corresponsione a tale titolo di un canone enfiteutico: questi beni possono essere alienati data la natura essenzialmente privatistica del canone enfiteutico che grava sul bene. In questi casi l’alienazione non riguarderà la piena proprietà, ma la nuda proprietà pesandovi questo gravame del canone livellario; il concessionario potrà comunque affrancare in ogni tempo questo diritto enfiteutico pagando al gestore dell’uso civico la capitalizzazione del canone (il livello è il contratto di godimento duraturo di un terreno agricolo con l’obbligo di pagare periodicamente un canone fisso).

Alcune procedure di liquidazione però per difficoltà di concordare tutte le concessioni non hanno avuto regolare conclusione e così si è verificato che alcuni terreni continuano ad essere utilizzati “uti dominus” dai frazionisti senza averne titolo ( i c.d. occupatori abusivi). La regolarizzazione di queste occupazioni si può comunque effettuare anche con un contratto di compravendita fra Comune ed occupatore, previo nulla osta del Commissario per la liberalizzazione del terreno dalla servitù di uso civico e successiva autorizzazione regionale alla vendita: questa autorizzazione però vincola il Comune a destinare il ricavato della vendita per opere di interesse generale della frazione nel cui favore sussiste l’uso civico.

La procedura da seguire per la vendita di terreni comunali nei cui territorio esistono degli usi civici deve iniziare con una analisi della iscrizione del bene nell’inventario, dal quale dovrebbe risultare se la realità ha dei gravami di uso civico. Qualora tale analisi risulti negativa, ma il bene è ubicato in una zona ove è notorio che altre realità sono soggette a questa disciplina pubblicistica, si rende opportuno effettuare una ricerca all’Ufficio del territorio tesa a verificare se il mappale (particella, nel catasto austriaco) è originata da precedenti frazionamenti: in caso di esito positivo di tale ricerca, si deve risalire al mappale originario e verificare se lo stesso risulta incluso nell’elenco peritale dei beni soggetti all’uso civico. Tali accertamenti si rendono necessari in quanto si è constatato che alcune compravendite di terreni soggetti ad uso civico, effettuate nel passato senza la preventiva autorizzazione commissariale, sono state annullate in epoca successiva dal Commissario agli usi civici quando è venuto a conoscenza di tale atto irrituale di disposizione del bene: in questo caso si è dovuto procedere con una nuova compravendita supportata dalla autorizzazione commissariale. Tali ricerche sono semplificate nei comuni ove vige il sistema tavolare per il riconoscimento della proprietà, in quanto i beni soggetti all’uso civico hanno l’annotazione che tali beni non possono essere alienati o aggravati senza l’autorizzazione della competente autorità, annotazione che non si rinviene invece nei beni di proprietà comunale che non sono soggetti all’uso civico. Il sistema tavolare della indicazione della proprietà immobiliare prevede che tutte le particelle catastali vengano elencate per partite tavolari, all’interno delle quali vengono annotati i rispettivi proprietari distinti per corpi tavolati e gli eventuali pesi che gravavo sulle singole realità. Nei registri delle conservatorie immobiliari italiane invece vengono indicate le persone che sono titolari di un diritto reale su un determinato bene.

Si ritiene opportuno fare menzione di una particolare situazione che si è riscontrata nella gestione degli usi civici nella località di Jamiano, frazione al Comune di Doberdò del Lago (GO). A seguito dell’istruttoria commissariale di ricognizione degli usi civici dal perito incaricato veniva depositato in comune ed all’Ufficio del Catasto Fondiario un piano di frazionamento in cui erano evidenziati i singoli appezzamenti di una grande proprietà intestata alla frazione, con indicato il nominativo degli occupanti i singoli appezzamenti di terreno; l’ufficio del catasto stranamente (forse per garantire all’erario un flusso tributario che altrimenti non si sarebbe realizzato: i tributi, infatti, si pagano sui beni di cui si ha il possesso e non su quelli che si hanno in locazione) diede corso senza il titolo necessario al piano di frazionamento ed i fogli di possesso dei beni “usurpati” vennero intestati in ragione dei rispettivi occupatori. Gli occupanti però si opposero alle valutazioni dell’istruttoria peritale e perciò il Commissario agli usi civici non omologò la proposta di ripartizione dei beni e di conseguenza non fu possibile l’emanazione del provvedimento regionale che autorizzava, previo pagamento degli importi indicati nell’elaborato peritale, le assegnazioni ai singoli frazionisti. All’Ufficio Tavolare, che nei territori appartenuti fino al novembre del 1918 all’Austria-Ungheria svolge le funzioni della Conservatoria Immobiliare, la proprietà, in assenza del provvedimento commissariale di assegnazione dei singoli beni, rimase intestata nella sua interezza originaria alla Frazione di Jamiano, in quanto il piano di ricognizione del perito non costituisce titolo per il trasferimento della proprietà, essendo detto piano un adempimento endoprocedimentale per l’ assegnazione delle unità fondiarie fra gli aventi diritto (con provvedimenti successivi è stato dato corso alla regolarizzazione delle occupazioni).

Questa anomalia in parte deriva anche dalla circostanza che la frazione di Iamiano apparteneva fino al settembre del 1947 al comune di Duino-Aurisina, il quale con il trattato di pace fu incluso nel Territorio Libero di Trieste, governato da una amministrazione militare alleata in attesa della sua formale costituzione, mentre la frazione di Iamiano fu assegnata al comune di Doberdò del Lago; la Corte d’Appello, presso cui risiede il Commissario agli usi civici, per le province della nostra regione fu ripristinata solo nel 1954, quando si rinunciò alla costituzione del Territorio Libero di Trieste e fu costituita la nuova provincia di Trieste (in questo arco di tempo le funzioni commissariali erano esercitate a Venezia, che data la vastità del territorio che doveva gestire non poté esaudire le richieste di regolarizzazione pervenute da quei frazionisti).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *