PREMESSA
Stanno maturando il secondo triennio di attività i revisori previsti dall’art. 57 della legge 8 giugno 1990 n. 142 sull’ordinamento delle autonomie locali, che è stata oggetto di aspre critiche in quanto uscita monca sia di un nuovo sistema di elezione degli organi comunali che di una normativa che rendesse l’autonomia finanziaria comunale una proposizione forte.
Nei primi quattro anni di applicazione della legge il Parlamento ha consolidato la normativa sulla distinzione fra organi di direzione politica e organi di gestione amministrativa ed ha approvato un nuovo sistema di elezione degli organi comunali che assicurerà per il futuro governi locali più stabili.
Non ha avuto invece ancora esito la riforma della finanza comunale, ma si è consolidata la funzione dei revisori nell’ordinamento degli enti locali.
1. NECESSITÀ DI RINNOVAMENTO DEL COLLEGIO DEI REVISORI
La nuova impostazione de: bilancio preventivo prescritta dal D.P.R. 421/79, l’introduzione dell’analisi dei costi a domanda individuale, il paradigma normativo che prescrive anche nel corso dell’esercizio la salva guardia degli equilibri del bilancio, la prescrizione che condiziona l’approvazione degli investimenti alia formazione dei relativi piani finanziari, la necessità di avere verifiche oggettive a consuntivo e l’anacronistico istituto dei revisori scelti all’interno del consiglio sono le motivazioni forti che hanno suggerito al legislatore la istituzione per Comuni e Provincie di un organo con caratteristiche di terziarietà: un collegio dei revisori che assicuri ai responsabili della gestione una collaborazione professionale e imparziale e che nel contempo fornisca ai cittadini una garanzia di correttezza nello svolgimento delle pubbliche funzioni.
Il collegio dei revisori disciplinato dalla legge comunale e provinciale era formato esclusivamente da consiglieri comunali, estranei alla Giunta, e veniva nominato dallo stesso Consiglio senza la prescrizione dei possesso di particolari requisiti professionali in capo ai suoi componenti. L’organo quindi mancava delle caratteristiche sia di terzietà rispetto all’ente che di professionalità oggettiva per assicurare l’effettuazione di una qualificata attività di revisione contabile. Inoltre i revisori erano portatori di una rappresentanza politica in quanto nel collegio dovevano obbligatoriamente essere rappresentati i consiglieri di minoranza. Per di più la legge limitava il loro compito all’esame dei conto del tesoriere che riporta solo i movimenti di cassa, mentre il vero conto consuntivo, contenente le determinazioni sugli stanziamenti monetariamente non utilizzati e da riportare nell’esercizio successivo o da eliminare, nonché il conto patrimoniale, veniva presentato dalla Giunta senza alcuna toro investitura a formulare pareri sui risultati della gestione nella sua interezza. La loro funzione, pur concernendo l’intera gestione finanziaria dell’ente, si esplicava in un limitato arco temporale (60 giorni dalla consegna del conto da parte del tesoriere) in cui dovevano verificare la regolarità delle movimentazioni monetarie. La loro attività consisteva in una parifica delle scritture contabili del tesoriere con gli atti autorizzativi all’effettuazione di entrate ed uscite e nel controllo delle regolarità formale degli incassi e dei pagamenti, senza attribuire ad essi la legittimazione a formulare pareri di merito sulle decisioni che avevano originato i movimenti finanziari e sulle modalità di attuazione delle stesse.
Nella maggioranza dei casi l’attività dei revisori dei conti si limitava alla presentazione di una sintetica relazione nella quale venivano riportate le risultanze del conto del tesoriere senza esprimere valutazioni sulla gestione dell’esercizio finanziario. Queste relazioni divenivano più corpose ed integrate con riferimenti alle modalità della gestione solo dove esisteva un confronto politico più vivace.
Altra carenza del precedente collegio era la loro nomina con cadenza annuale, con la possibilità che le persone venissero alternate per motivi politici e di disperdere cosi quella poca professionalità nell’attività di revisione che eventualmente era stata acquisita. Le prescrizioni di carattere economico previste dalla legislazione sopravvenuta (art. 22 del D.P.R. 241/79) avevano patentemente evidenziato l’anacronismo di questo organo, i cui componenti spesso si erano trovati nella difficoltà morale di redarre una relazione con meri contenuti monetari.
Le vicende di tangentopoli hanno sancito il definitivo naufragio della fiducia sulla efficacia dei controlli di legittimità ma hanno evidenziato la necessità di altre forme di controllo, comunque necessarie per attestare la regolarità delle decisioni che si vanno ad assumere e per evitare all’ente danni successivi qualora vengano assunti provvedimenti non conformi alle prescrizioni legislative.
Storicamente l’istituto dei revisori con l’attuale connotazione era stato introdotto nelle aziende pubbliche locali dall’art. 27 nonies del decreto legge 22 dicembre 1981 n. 786 convento con modificazioni nella legge 26 febbraio 1982 n. 51 e integrato dall’art. 12 ter del decreto legge 28 febbraio 1983 n. 55 invertito con modificazioni nella legge 26 aprile 1993 n. 131.
Questa norma, pur limitando ancora l’intervento dei revisori al solo consultivo, prescriveva per la loro nomina il principio della terziarietà rispetto all’ente e ne estendeva i compili alla redazione ogni triennio di una relazione per il consiglio dell’ente locale da cui dipende l’azienda in cui quantificare in termini economici i dati della gestione aziendale e le possibili soglie ottimali di rendimento dei servizi: nella redazione di questa relazione la legge prevede che il collegio venga affiancato da tre esperti del settore o da una società di certificazione, scelti dall’ente locale.
Con l’art, 27 del decreto legge 2 marzo 1989 n. 66, convertito con modificazioni nella legge 24 aprile 1989 n. 144, per la revisione della gestione dei Comuni finanziariamente dissestati viene disposta in sostituzione del collegio del collegio di estrazione consiliare la nomina di un revisore per i Comuni sotto i 5.000 abitanti e, per gli altri casi, di un collegio di tre revisori scelti fra gli iscritti all’albo dei revisori dei conti ed agli ordini professionali provinciali dei dottori commercialisti e ragionieri, nonché tra i ragionieri e i segretari comunali che abbiano almeno dieci anni di servizio.
I! legislatore ha finalmente recepito, anche se limitatamente agli enti dissestati, di rivisitare l’ormai anacronistico collegio dei revisori del conto: il nuovo collegio viene investito del compito di vigilare sulla regolarità contabile degli atti di gestione, sulla gestione economico-finanziaria dell’ente, sull’amministrazione del patrimonio e sulla regolarità fiscale. In tema di consuntivo la loro la loro competenza viene ampliata con una relazione presentata al consiglio, in cui si attesta la corrispondenza dei dati del rendiconto annuale, finanziario e patrimoniale, alle risultanza e scritture dell’ente e con una seconda relazione sullo stato complessivo economico e finanziario dell’ente.
La figura dei revisori dei conti prevista dal precedente ordinamento viene rivisitata integralmente dalla legge 142: ai revisori oltre al compito di effettuare la revisione del conto consuntivo, che comporta un impegno limitato nel tempo, vengono attribuite competenze che implicano la loro collaborazione durante l’intero svolgimento dell’esercizio finanziano.
Ai revisori viene infatti attribuita una funzione completamente nuova rispetto il precedente collegio: la collaborazione con il consiglio nella sua funzione di controllo e di indirizzo, che implica una costante partecipazione all’attività gestionale. Anche nella gestione finanziaria degli enti l’intervento dei revisori non è più limitato al consuntivo: ad essi rompete anche la vigilanza sulla regolarità contabile e finanziaria nel suo complesso.
La funzione dei revisori nella procedura di approvazione del conto consuntivo non è più limitata al conto del tesoriere ma viene ampliata prevedendo da parte loro la redazione di una relazione con cui attestano la corrispondenza del rendiconto alle risultanze della gestione; in questa relazione esprimono rilievi e proposte tendenti a conseguire una migliore efficienza, produttività ed economicità della gestione.
La figura dei revisori si inserisce nella filosofia di una riduzione sostanziale dei controlli esterni di legittimità sugli atti non fondamentali dell’ente, controlli che vengono nella sostanza sostituiti dai pareri previsti dall’art. 53 della legge 142. Questi pareri si configurano come una manifestazione di conoscenza sulla regolarità dell’atto. In questa prospettiva di un più sostanziale controllo, il legislatore ha voluto che gli atti fondamentali dell’ente venissero integrati da un parere professionale emesso da un organo a cui è attribuita la vigilanza sull’intera gestione dell’ente.
I revisori possono essere coinvolti nell’attivazione di forme di controllo interno di gestione, la cui previsione può essere inserita nello statuto in base al disposto dell’art. 57 ultimo comma: il legislatore lascia chiaramente trasparire che il collegio dei revisori oltre a formulare proposte per ottenere una maggior economicità, efficienza e produttività della gestione possa svolgere anche vere forme di controllo economico di gestione per meglio collaborare con il consiglio, cui istituzionalmente compete il controllo di gestione.
Questo controllo consiste nell’analisi dei risultati economici della gestione che permette di formulare giudizi idonei ad organizzare l’ente pubblico verso il raggiungimento dei suoi obiettivi in maniera ottimale.
La 142 propone con l’ausilio dei revisori il problema di come modificare la cultura gestionale e organizzativa degli enti locali per superare quella cultura che ha fatto della conformità formale il punto di riferimento dell’azione amministrativa, trascurando significativamente i problemi della qualità, equità ed efficienza. L’affermarsi di una nuova cultura gestionale ed organizzativa basata sulla stretta interdipendenza fra qualità del lavoro, efficienza dei processi e requisiti dei risultati non è una semplice diffusione di argomenti generali sui quali ottenere una convergenza di principio né un mero adeguamento alle prescrizioni normative.
Il ruolo dei revisori deve assumere quindi una connotazione di impulso e di collaborazione sulla gestione della macchina comunale con nuovi criteri, pii) che di vigilanza sulla corretta applicazione dei provvedimenti.
2. CARATTERISTICHE DEL NUOVO ORGANO DI REVISIONE
II legislatore con la 142 ha previsto due obiettivi principali: il primo concerne l’autonomia normativa degli enti locali ed il secondo l’introduzione di criteri privatistici nella conduzione degli stessi. Per l’attuazione di questi obiettivi agli organi esponenziali è stato affiancato questo nuovo organo ausiliario che ha funzioni molto simili al collegio sindacale delle società commerciali, la revisione assume quindi un ruolo centrale nell’impostazione della legge 142 muovendosi, nella direzione del progresso civile che comporta una collaborazione tra pubblico e privato per il miglioramento futuro dell’economia nazionale.
I revisori vengono eletti dal consiglio con voto limitato a due componenti, al fine di permettere la presenza di un revisore designato dalla minoranza consigliare. La legge prevede che un revisore deve essere scelto tra gli iscritti nel ruolo dei revisori ufficiali dei conti, a cui compete la presidenza del collegio, gli altri due componenti sono scelti uno tra gli iscritti nell’albo dei dottori commercialisti ed uno tra gli iscritti nell’albo dei ragionieri. Nei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti viene incaricato un solo revisore scelto tra gli esperti iscritti nel ruolo e negli albi predetti ed avrà la stessa competenza del collegio. Era stata ventilata l’ipotesi di istituire uno speciale ruolo dei revisori ufficiali per la revisione negli enti locali, data la particolarità della legislazione di questi enti: la normativa per l’accesso alle funzioni di revisore negli enti locali invece è rimasta inalterata in considerazione dell’apporto professionale che può dare alla gestione un libero professionista nonché della possibilità di accedere al ruolo dei revisori ufficiali da parte sia di amministratori che di funzionari degli enti locali.
Il legislatore dovrà prendere formalmente atto che il ruolo dei revisori ufficiali sarà sostituito dal registro dei revisori contabili in corso di formazione in esecuzione del decreto legislativo 27 gennaio 1992 n. 88. L’articolo 6 quinuies del decreto legge 12 gennaio 1991 n. 6 convertito con modifiche nella legge 15 marzo 1991 n. 80 dispone che i revisori non possono superare il numero massimo di cinque incarichi nei Comuni fino a 9.999 abitanti, di tre per i Comuni da 10.000 a 29.999 abitanti, di due per i Comuni da 30.000 a 79.999 abitanti e di uno per i comuni con più di 80.000 abitanti.
E’ stata istituita una anagrafe dei revisori presso il Ministero dell’interno ed il CNEL a cui devono pervenire dagli enti le relative comunicazioni entro 60 giorni dalla nomina o sostituzione. Nel caso in cui il numero degli incarichi-superi quello previsto dalla legge, il Ministero dell’interno invita il revisore che abbia incarichi eccedenti a far pervenire entro 30 giorni una dichiarazione dalla quale risulti per quali incarichi abbia optato: questa dichiarazione sarà trasmessa agli enti interessati a cura del ministero. Qualora il revisore ometta tale comunicazione, il ministero ne dovrà dare notizia agli ordini professionali o al ministero di grazia e giustizia per il ruolo dei revisori dei conti al fine di attivare eventuali sanzioni.
Si deve eccepire al legislatore di aver limitato il numero degli incarichi ai revisori in base alle dimensioni demografiche dei Comuni, mentre doveva permettere ai Comuni di graduare il numero dei componenti del collegio dei revisori: non è paragonabile il carico di lavoro del collegio in un comune con 80.000 abitanti con quello di un comune con 2.000.000 abitanti. Questo rilievo viene mosso in coerenza con quanto indicato all’art. 33 della legge 142 che lascia a ciascun comune la facoltà di graduare il numero degli assessori sulla base delle sue esigenze entro un limite massimo posto dalla legge.
Lo scopo che si è posto il legislatore nel prescrivere queste limitazioni è quello di garantire agli enti una collaborazione effettiva da parte dei revisori, in quanto le complesse funzioni loro attribuite male si amalgano con una pluralità di incarichi per quanto competente possa essere il professionista scelto.
Il collegio dei revisori previsto dalla 142 riveste una connotazione professionale che reca un esclusivo riconoscimento alle libere professioni private, data la composizione obbligatoriamente formata da un commercialista, da un ragioniere e da un revisore ufficiale dei conti. Si tratta di un organo le cui decisioni devono essere altamente qualificate perché derivanti da un insieme di esperienze professionali e da confronti fra soggetti e punti di vista diversi.
Viene garantita la totale indipendenza dei revisori nello svolgimento delle loro mansioni dato che la loro nomina è irrevocabile, salvo inadempienze. Il sistema adottato per la nomina del collegio da parte del Consiglio (voto limitato a due componenti) lascia spazio a concretizzare le proposte di nomina delle varie componenti politiche, senza che sia prescritto alcun rapporto di rappresentanza dei revisori con le forze politiche. L’elezione dei revisori senza la prescrizione di scelte su indicazioni di qualsiasi tipo è posta a tutela dell’interesse pubblico ed a garanzia sia degli ordini professionali che dei singoli iscritti.
I revisori durano in carica tre anni e sono eleggibili per una sola volta. La durata triennale dell’incarico è finalizzata a consentire un rapporto tra i risultati di diverse gestioni, per maturare una visione nel tempo della realizzazione concreta delle decisioni e per poter dare indicazioni sugli obiettivi da perseguire alla luce dei risultati man mano conseguiti.
La limitazione del rinnovo per un solo triennio è una prescrizione il cui fine teleologia) è di evitare la cristallizzazione degli incarichi nell’ufficio, di favorire un ricambio delle persone, che possono far conseguire benefici all’ente apportando elementi innovativi nella gestione, nonché per una equità nei confronti dei singoli iscritti negli albi professionali, i quali hanno una legittimazione ad essere chiamati a coprire questo incarico.
Altro fine che si pone la prescrizione di questo paradigma normativo è di evitare l’affievolimento della qualità dell’apporto professionale del revisore che può essere causato sia dall’attuabilità dell’ufficio che dall’intervento nel tempo di fattori esterni che potrebbero influire nella sua obiettività.
I! ruolo dei revisori deve assumere quindi una connotazione dì impulso e di collaborazione della macchina comunale con i nuovi criteri, più che di vigilanza sulla corretta applicazione dei provvedimenti.
La legge n. 80/91 nel convertire il decreto legge n. 6/91 ha disposto che l’incarico di revisore non può essere esercitato da membri del Comitato regionale di controllo né da dipendenti delle Regioni, Provincie, Comunità montane relativamente agli enti compresi nella rispettiva Regione: si ritiene che la norma possa essere aggiornata limitando l’incompatibilità dei dipendenti di comuni, provincie e comunità montane al solo ambito territoriale di pertinenza dell’ente presso cui prestano servizio.
Il rapporto revisore-Comune viene regolamentato dalle norme sul mandato civilistico (art. 1710 del c.c.) in modo analogo al sindaco per le società per azioni, anche se l’art, 30 della 142 non preveda fra gli organi del Comune o della Provincia il collegio dei revisori: tuttavia è certamente da qualificare come organo ausiliario dell’ente per la sua funzione di permanente collaborazione con il Consiglio nel “controllo” ed “indirizzo” nonché nella vigilanza finanziaria-organizzativa, funzione per la quale si trova di fatto a stretto contatto con gli organi esecutivi.
Si può quindi affermare che il legislatore con i compiti attribuiti ai revisori e con l’esplicitazione dei pareri previsti dall’alt 53 della 142 abbia voluto assicurare agli organi degli enti locali un complesso sistema informativo che funga da supporto decisionale per il perseguimento degli obiettivi preposti con caratteristiche di efficienza, efficacia ed economicità proprie di una azienda di produzione.
3. FUNZIONI DEI REVISORI DEI CONTI
La legge 142 nel riformulare la composizione del collegio dei revisori dei conti ne ridisegna anche le funzioni: l’articolo 57 conferma la loro competenza istituzionale ad effettuare l’esame del conto, che è prodromico rispetto il successivo pronunciamento del Consiglio Comunale, ma attribuisce ad essi il compito di attestare la corrispondenza del rendiconto alle risultanze della gestione tramite una relazione al Consiglio comunale, in cui esprimono anche rilievi e proposte, tendenti a conseguire una migliore efficienza, produttività ed economicità della gestione: questa relazione viene allegata alla deliberazione di approvazione del conto consuntivo.
Uno degli obiettivi principali dell’alt. 57 della legge 142 è favorire la contaminazione dell’ente locale con le tecniche di pianificazione e controllo normalmente utilizzate nel settore privato al fine “conseguire una migliore efficienza, produttività ed economicità della gestione”.
Il principio di determinare il significato economico del consuntivo mettendo in evidenza i costi sostenuti e i risultati conseguiti era stato già introdotto dall’art. 22 del D.P.R. 19 giugno 1979, n. 421, ma la norma non aveva avuto il risultato trainante che si era proposto il legislatore nell’aggiornare le norme della contabilità comunale e provinciale. Lo stesso D.P.R. aveva anche prescritto all’art. 1 che la classificazione funzionale della spesa deve consentire una analisi per programmi e, ove possibile, per progetti specifici.
Sarebbe stato opportuno che coassialmente alle novità introdotte nella contabilità comunale e provinciale con il D.P.R. n. 421/79 il legislatore avesse provveduto anche a modificare la normativa che disciplinava il collegio dei revisori dei conti: infatti è proprio con questo decreto che viene evidenziato definitivamente il ruolo anacronistico di questo collegio.
La funzione dei revisori è prevalentemente diretta alla vigilanza sulla regolarità contabile e finanziaria della gestione dell’ente e viene meglio esplicitata nel decreto ministeriale che determina il loro trattamento economico (D.M. 4 ottobre 1991 pubblicato in G.U. n. 245). L’adempimento contabile di maggior rilevanza previsto nel citato decreto, ma non esplicato nella legge, concerne l’espressione di pareri sulla proposta di bilancio di previsione e sui documenti allegati nonché sulle successive variazioni di bilancio. Con questa attribuzione si configura pertanto una collaborazione con il Consiglio non più limitata ad un periodo della gestione ma che si svolge nell’arco temporale dell’intero esercizio finanziario. Il decreto precisa anche i contenuti della locuzione “esercita la vigilanza sulla regolarità contabile e finanziaria della gestione” dell’ente, contenuto nel quinto comma dell’art. 57, specificando che questa vigilanza del collegio deve attivarsi sulla acquisizione delle entrate, sull’effettuazione delle spese, sull’attività contrattuale, sugli adempimenti fiscali e sulla tenuta della contabilità. Con l’attribuzione di queste funzioni è lapalissiano che il legislatore ha voluto affidare ai revisori un compito di collaborazione generale sull’intera gestione del Comune e che la dizione “revisore dei conti” usata al settimo comma dell’alt. 57 puntualizza la loro funzione di revisione della contabilità comunale nella sua interezza. A nostro modo di vedere non si condivide la impostazione effettuata dal decreto, di distinguere le funzioni dei revisori in base alla classe demografica dei Comuni, se si escludono i pareri sulle gestioni affidate alle circoscrizioni che interessano solo i Comuni con oltre 60.000 abitanti: nell’ottica dell’instaurazione di un controllo di gestione economico le funzioni attribuite al revisore dei Comuni con meno di 5.000 abitanti devono essere le medesime dei revisori operanti nei collegi dei grandi Comuni, anche se in questi ultimi la quantità di lavoro è notevolmente superiore.
In considerazione delle attribuzioni del revisore o del collegio dei revisori si è posto il problema se viene affievolita dalla 142 la figura del ragioniere capo: si ritiene che l’attività dei revisori, pur rappresentando un nuova elemento di consulenza economica-finanziaria nel contesto della gestione dell’ente, lascia inalterata la rilevanza professionale del ragioniere cui compete comunque dichiarare la regolarità contabile degli atti di sua competenza nonché la eventuale attestazione di copertura finanziaria. La circostanza che l’operato del revisore, ovvero del collegio, si concluda nel corso dell’esercizio con la formulazione di proposte e rilievi per migliorare l’andamento della gestione, evidenzia la professionalità dell’organo ma non pone in un ruolo riduttivo l’ufficio di ragioneria, cui compete comunque la vigilanza sugli equilibri del bilancio nel corso della gestione.
La proposizione che i revisori collaborano con il Consiglio Comunale nella sua funzione di controllo e indirizzo nonché il loro dovere di relazionare al Consiglio qualora riscontrino gravi irregolarità nella gestione dell’ente, sono locuzioni che evidenziano che il loro intervento non può essere limitato alla sola materia contabile. L’attività di collaborazione al Consiglio comunale nelle sue funzioni di indirizzo e controllo da parte dei revisori deve trovare il suo momento fattivo nella formulazione di suggerimenti e proposte per favorire il cambio di cultura e di competenza contenute nella legge 142/90.
La collaborazione dei revisori con il Consiglio Comunale va però limitata alla sua funzione di indirizzo e di controllo sull’attività della giunta e su quella degli altri organi e uffici cui è attribuita una competenza: la collaborazione in questione non coincide quindi con l’area della intera competenza consigliare. Spetta alle fonti normative dell’ente stabilire le forme e i tempi dell’esercizio della predetta collaborazione. Le medesime fonti normative dovranno essere rivisitate per garantire al consiglio comunale queste funzioni di controllo in conseguenza della legge 81/93 che riduce il consiglio comunale a vivere di luce riflessa nei confronti del Sindaco.
La figura di collegamento fra revisori e consiglio va individuata nel presidente del consiglio, la cui presenza dovrebbe essere estesa anche nei comuni con meno di 15.000 abitanti.
I compiti ad essi attribuiti di vigilanza sulla regolarità dei provvedimenti e sulla completezza della documentazione, contenuti nell’art. 4 del decreto ministeriale già citato, ribadiscono la loro legittimazione a sindacare su ogni attività dell’amministrazione comunale. Inoltre, il successivo art. 5 del decreto prevede che ai revisori possano essere specificatamente attribuite funzioni diverse da quelle indicate all’art. 4 per una ulteriore collaborazione con il Consiglio e per attivare forme di controllo economico interno.
Queste competenze dei revisori dei conti sono state confermate con un deliberato dalla sezione enti locali della Corte dei conti, la quale esplicita a chiare lettere che la vigilanza dei revisori va svolta sulla intera gestione dell’ente e non limitata ai meri atti contabili della stessa.
Il collegio dei revisori viene investito dal settimo comma dell’art 23 della 142 delle funzioni di revisione anche per le istituzioni dell’ente, che sono organismi strumentali dell’ente locale per l’esercizio dei servizi sociali dotati di autonomia gestionale; il medesimo articolo prevede che le aziende speciali invece siano dotate di un distinto organo di revisione.
L’operato dei revisori non è un controllo ostativo ma è una forma di conoscenza partecipativa tesa a riferire e segnalare le situazioni rilevate ed a proporre soluzioni ai problemi evidenziati. Compito dei revisori nel corso della gestione è anche quello di incentivare le sinergie potenziali con collaborazioni trasversali tra le unità lavorative disponibili suggerendo soluzioni per ottenere un migliore prodotto.
La competenza professionale richiesta ai revisori materializza nell’ordinamento degli enti locali il principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione, in quanto l’organo volitivo viene ad essere supportato per le decisioni di maggior rilievo oltre che dalla collaborazione dell’apparato burocratico, legato comunque da rapporti gerarchici ai responsabili dell’ente, anche da questo organo tecnico che con la sua indipendenza garantisce la imparzialità del suo operato.
4. FUNZIONAMENTO DEL COLLEGIO
Stante l’assoluto silenzio della legge 142/90 sul funzionamento del collegio dei revisori, l’argomento va disciplinato dallo statuto e dai conseguenti regolamenti. Le relative norme possono essere raggruppate nel regolamento di contabilità dell’ente, senza creare un separato regolamento per la disciplina del collegio dei revisori. Delle regole semplici possono essere ritagliate sulla base della normativa e dell’esperienza relativa al funzionamento del collegio sindacale nelle società, con gli adattamenti conseguenti alla funzione pubblica svolta dai revisori.
E’ opportuno anzitutto prevedere che, una volta assunta la deliberazione di nomine dei revisori, la stessa venga notificata agli interessati entro un termine fisso e che gli stessi debbano far pervenire, entro il termine indicato nella comunicazione di avvenuta elezione, la loro accettazione della carica, in mancanza della quale il revisore viene considerato decaduto.
A cura del Sindaco dovrà essere convocata la prima seduta del collegio per procedere al suo insediamento. A questa prima seduta dovranno partecipare anche il sindaco, il segretario comunale e il responsabile dei servizi finanziari. Nel corso di questa seduta il collegio deve essere edotto sulle norme statutarie e regolamentari che lo riguardano nonché informato, seppur sommariamente, sulla situazione finanziaria e patrimoniale dell’ente. Nel regolamento può essere attribuita ai revisori la facoltà di farsi supportare da un segretario nella tenuta delle scritture e di ogni altra documentazione.
Una particolare attenzione dovrà essere data alle funzioni che vengono attribuite al presidente del collegio, al quale di diritto compete la rappresentanza del collegio stesso.
Le norme che si possono prevedere al riguardo si indicano sommariamente di seguito: il presidente convoca e presiede il collegio, stabilendo l’ordine del giorno di ciascuna seduta; la convocazione del collegio va comunicata al sindaco; in caso di inerzia ingiustificata del presidente la convocazione del collegio può essere chiesta dai restanti revisori al sindaco, il quale provvede sentito il presidente; il presidente può assegnare specifici incarichi ai membri del collegio, con l’obbligo a carico degli incaricati di riferire al collegio l’esito del proprio lavoro; nei casi previsti dallo statuto o da altre norme regolamentari il presidente assiste alle sedute del consiglio comunale; i regolamenti comunali possono richiedere la controfirma del presiedente su alcuni atti contabili o fiscali del Comune; in caso di impedimento del presidente, la presidenza del collegio compete al revisore nominato con la qualifica di dottore commercialista.
Un più ampio spazio va dato nel regolamento alle sedute e alle deliberazioni del collegio. Di seguito vengono elencati a titolo esemplificativo alcuni criterii
1)il collegio informa la sua attività al criterio della collegialità;
2)le sedute del collegio sono valide con la presenza del presidente e di almeno uno dei due membri;
3)le deliberazioni del collegio sono assunte a maggioranza dai presidenti e a parità di voto prevale quello del presidente;
4)sulle deliberazioni del collegio non è ammessa l’astensione e il revisore dissenziente può chiedere l’inserimento in verbale dei motivi del suo dissenso;
5) le sedute del collegio non sono pubbliche e si tengono di regola presso la sede comunale;
6)il collegio dei revisori deve riunirsi almeno una volta ogni trimestre e i componenti devono giustificare preventivamente al presidente l’impedimento alla partecipazione della seduta;
7)il collegio, oltre avere l’accesso agli atti d’ufficio, ha la facoltà di sentire gli amministratori o i dipendenti comunali.
8)In caso di tre assenze ingiustificate di un componente del collegio il presidente ne riferisce al sindaco per l’eventuale attivazione della procedura di decadenza (per le assenze del presidente provvede d’ufficio il sindaco).
Non si ritiene opportuno sposare la tesi che il collegio dei revisori sia un collegio perfetto in quanto una simile interpretazione nella realtà rappresenterebbe un serio ostacolo al funzionamento dell’organo in quanto l’assenza di un componente, anche se per giustificati motivi, implicherebbe l’impossibilità di una sua regolare costituzione.
5. LA RELAZIONE DEI REVISORI SUL CONTO CONSUNTIVO
Uno dei pregi della legge 142 in materia di gestione degli enti locali è l’aver dato una dignità giuridica al conto consuntivo che la precedente legislazione non gli riconosceva, forte della circostanza che nella contabilità finanziaria il momento eclatante è quello autorizzativo all’entrata ed alla spesa: questo momento si identifica nella deliberazione di approvazione del bilancio di previsione.
Pur non prevedendo fra le cause di scioglimento del consiglio comunale la mancata approvazione del conto consuntivo la 142 prevede all’art. 46 decimo comma particolari procedure per la sua approvazione. Inoltre la 142 introduce all’art. 55 sesto comma il principio che i risultati della gestione sono rilevati mediante contabilità economica: ne consegue che il ruolo dei revisori del conto va debitamente implementato rispetto il precedente ordinamento. Ad essi va demandata la funzione di attestare la corrispondenza del rendiconto alle risultanze della gestione, redigendo apposita relazione, la quale fa parte integrante della proposta di deliberazione di approvazione del conto consuntivo, I revisori devono predisporre una relazione al conto che accompagna la proposta di deliberazione consiliare; in questa relazione essi devono esprimersi sul rendiconto nella sua interezza, verificando la corrispondenza dei dati contabili con i risultati effettivi della gestione, nonché formulare osservazioni e proposte per conseguire nell’attività amministrativa una migliore efficienza, produttività ed economicità. La relazione sul conto consuntivo nella previsione del comma 5 dell’art. 57 della legge 142 presenta quindi quale contenuto essenziale l’attestazione critica della corrispondenza del rendiconto alle risultanze della gestione. Nell’ordinamento giuridico precedente alla 142 l’intervento dei revisori si poneva come atto interno del procedimento sfocante nella deliberazione di approvazione da parte del Consiglio Comunale e si caratterizzava quale coordinazione giuridica obbligatoria e prodromìca delle sequenze attizie preordinate all’adozione della predetta deliberazione. Questo collegio sulla base di questa qualificata relazione può suggerire la revisione della programmazione quadriennale trasformando il conto consuntivo da uno sterile documento contabile in un valido strumento di verifica dell’attività gestoria.
La legge, collegando i compiti che svolgono i revisori nei confronti del consuntivo, ripropone la loro precedente denominazione di “revisori dei conti” specificando inoltre che essi rispondono delle loro attestazioni e che devono riferire al consiglio dell’ente ove riscontrino gravi irregolarità.
La relazione che i revisori predispongono sul conto consuntivo costituisce la conclusione, nel corso di un esercizio finanziario, di una attività di vigilanza sulla regolarità contabile e finanziaria della gestione dell’ente e di collaborazione con il Consiglio nella sua funzione di controllo e di indirizzo. In caso di assenza o di incompletezza di questa relazione, dato che tale ostacolo bloccherebbe il procedimento che porta alla approvazione del conto consuntivo, il Consiglio con motivata deliberazione può procedere all’approvazione del conto essendo l’organo più autorevole per la verifica della completezza e della qualità delia gestione condotta dall’esecutivo e dall’apparato amministrativo.
6. ASPETTI RETRIBUTIVI
Uno dei problemi che si era presentato a Comuni e Province nell’assegnare i primi incarichi ai revisori è stato l’ammontare del compenso da attribuire agli stessi.
Il legislatore al fine di stabilire una uniformità di trattamento ai professionisti e di limitare le richieste di alcuni revisori, all’articolo 6 quinques quarto comma della già citata legge n. 80/1991 ha previsto che il compenso attribuito ai revisori non deve essere superiore a quello che verrà determinato sul piano generale per ogni categoria o classe di enti dal Ministero dell’interno tenendo conto delle mansioni affidate ai revisori stessi e delle dimensioni demografiche dell’ente. La norma prevede che i tipi di mansioni vengano raggruppate per categorie nell’ambito di classi demografiche che verranno raggruppate per categorie nell’ambito di classi demografiche che saranno individuate con un decreto.
Nella disposizione citata è previsto che la rideterminazione di detto compenso vada assunta dopo aver sentito il Ministro di grazia e giustizia, gli ordini professionali, l’Anci, l’Upi e l’Uncem.
Il successivo decreto ministeriale 4 marzo 1991, pubblicato nella gazzetta ufficiale n. 245 del 10 ottobre 1991, dispone che il trattenimento economico ivi previsto per i revisori degli enti” locali sia temporalmente collegato ai compensi per l’espletamento delle funzioni di sindaco di società commerciali stabiliti con il DPR 27 maggio 1985 n.549.
Siccome la misura del compenso per i revisori indicata nel decreto rappresenta l’importo massimo attribuibile agli stessi, ne consegue che la determinazione è lasciata nell’ambito di ogni classe alla libera contrattazione fra l’ente e il revisore.
Si deve rilevare che se l’impegno dei revisori sotto l’aspetto del lavoro può essere differenziato per classi demografiche, non altrettanto si può affermare per l’impegno conseguente all’aggiornamento professionale: i revisori devono approfondire la propria preparazione professionale giornalmente dedicando parte del proprio tempo alla formazione giuridico-economica specie in presenza di una legislazione altalenante.
Si ritiene che i compensi vadano rivisitati considerando anche questo tipo di impegno.
Giustamente nella determinazione del compenso è stata prevista la possibilità di un aumento percentuale della misura prevista nel decreto ministeriale ai revisori che operano in enti la cui spesa corrente, desumibile dall’ultimo bilancio approvato, sia superiore alla media nazionale per fascia demografica; la graduazione di questo possibile incremento retributivo (5%, 10%, 20%) viene correlata ad un volume di spesa superiore rispettivamente al 110%, 125%, oltre al 125% della spesa media nazionale nella corrispondente fascia demografica.
Il decreto ministeriale prevede comunque la possibilità di alcuni incrementi alla misura massima del compenso. Se il Comune chiede ai revisori attività ulteriori a quelle previste all’art. 4 del decreto, la misura del compenso prevista nel decreto può essere aumentata sino al 5, 10 e 20 % in base al raffronto percentuale della spesa media nazionale. Qualora l’ente incarichi i revisori della revisione delle sue istituzioni, al revisore può essere attribuito per ogni istituzione un aumento del compenso fissato ministerialmente fino al limite massimo del 30 per cento.
Il trattamento economico del presidente del collegio in considerazione delle sue maggiori responsabilità viene incrementato del 10% rispetto la misura fissata per i revisori.
La misura del compenso da corrispondere ai revisori, determinata secondo le indicazioni del decreto ministeriale, viene stabilita contestualmente al provvedimento di nomina: ne consegue che, in caso di fissazione di un compenso in misura inferiore a quella massima, non è possibile alcun adeguamento successivo.
Ai revisori, oltre il compenso stabilito nella deliberazione di nomina, se residente al di fuori del capoluogo del Comune ove ha sede il rispettivo ente, compete il rimborso delle spese di viaggio effettivamente soste nute per la presenza presso la sede degli enti per lo svolgimento delle proprie funzioni.
Qualora i revisori in ragione dei loro incarichi debbano sostenere spese per il vitto e per l’alloggio, ad essi spetta il rimborso spese nella misura prevista per i componenti della giunta dell’ente.
7. LA RESPONSABILITÀ DEI REVISORI
Si è già evidenziato che la legge 142 per la responsabilità dei revisori fa riferimento a criteri civilistici precisando che essi rispondono della verità delle loro attestazioni e che debbono adempiere ai loro doveri con la diligenza del mandatario, ossia con la diligenza dovuta in base all’interesse che si va a perseguire e alla natura della attività che esso svolge. Il richiamo alla diligenza del mandatario nell’espletamento delle funzioni di revisione vuole significare che i revisori debbono applicarsi con la diligenza che normalmente si può pretendere dall’uomo medio, che tradizionalmente viene rappresentato nel buon padre di famiglia.
Dalla dizione che i revisori “rispondono della verità delle loro attestazioni” ne deriva che la loro responsabilità è di carattere personale in conseguenza della connotazione professionale del loro incarico. Non vi è dubbio comunque che eventuali responsabilità dei revisori, conseguenti al rapporto instaurato con l’ente pubblico, rientrano nel contesto della c.d. responsabilità amministrativa.
La responsabilità del revisore o del collegio si materializza anche qualora dovessero derivare dei danni all’ente a causa di loro omissioni di referto su eventuali irregolarità riscontrate nella gestione nonché dalla inesattezza delle loro attestazioni: ne consegue che i revisori risponderanno anche per l’ulteriore danno subito dall’ente che non avrebbe avuto luogo, oppure che sarebbe stato arginato, qualora essi avessero tenuto una condotta diligente nel notiziare l’ente.
Una lettura affrettata della normativa può convincere che in caso di accertamento da parte dei revisori di un danno all’ente non sussiste in capo ad essi un puntuale obbligo giuridico di denuncia alla autorità giudiziaria, in quanto ad essi compete solo segnalare al Consiglio comunale le eventuali irregolarità che riscontrino nella gestione dell’ente.
Si ritiene che comunque ad essi incomba un dovere diretto di denuncia qualora verifichino che gli organi competenti ritardano a provvedere su quanto da essi notiziato. Sul medesimo argomento si puntualizza che l’annotazione nel verbale delle riunioni di una irregolarità riscontrata non costituisce comunicazione dell’irregolarità all’ente, ma solo una memoria per il collegio stesso.
Non vi è alcun dubbio che la responsabilità dei revisori nei confronti dell’ente è una responsabilità contrattuale, in quanto discende dagli obblighi derivanti da un rapporto obbligatorio; ma da ciò non si può ipotizzare una responsabilità soggetta al sindacato del giudice ordinarlo, a meno che i revisori nel corso delle loro funzioni per colpa propria rechino ad altri un danno patrimoniale al di fuori del rapporto intercorrente con l’ente: in tal caso i revisori incorrerebbero nella responsabilità aquiliana nelle cui fattispecie ha rilevanza anche la colpa lieve.
I revisori di Comuni e Provincie per i danni derivanti all’ente commessi nello svolgimento della loro attività vanno ricondotti alla responsabilità amministrativa: non si condivide infatti la tesi secondo cui la responsabilità del danno cagionato dal revisore sia riservata alla cognizione del giudice ordinario. Infatti il rapporto che intercorre fra l’ente e il revisore è un rapporto di servizio con rilevanza pubblica, anche se disciplinato da diverse norme di diritto privato per cui in caso di danno all’ente competente a giudicare l’ammontare del danno ai sensi dell’articolo 13 del R.D. 12 luglio 1934 n. 1214 è il giudice speciale, la Corte dei Conti.
La competenza del giudice civile può essere invece acclarata in tutte le qualificazioni del rapporto in cui le parti si trovano in una condizione di parità, quale può essere ad esempio l’interruzione dell’incarico per impossibilità sopravvenuta, II rapporto che intercorre fra Comune e revisori è un rapporto di servizio funzionale, anche se a tempo determinato, e non una prestazione di capacità professionali. Ne consegue che la funzione dei revisori riveste la connotazione di una funzione pubblica: essi rivestono la qualifica di persone incaricate di pubblico servizio ed assurgono a quella di pubblico ufficiale quando mettono in essere quelle funzioni amministrative (relazioni, pareri) che contribuiscono a formare la volontà degli organi esponenziali dell’ente.
Di conseguenza il dettato costituzionale che prescrive agli incaricati di funzioni pubbliche di adempierle con disciplina e onore e quello che acclara che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della nazione, si estendono senza dubbi anche ai revisori dei conti.
Dal rapporto funzionale che lega i revisori con il Comune ne discende che anche per essi è applicabile il paradigma normativo dell’art. 58 quarto comma della 142 in base al quale per danni arrecati all’ente nell’esercizio delle proprie funzioni se ne risponde solo con il proprio patrimonio e la responsabilità non si estende agli eredi.
Per qualificarsi come responsabilità amministrativa, il danno che i revisori arrecano al patrimonio dell’ente deve aver un nesso di casualità diretto e immediato fra comportamento del revisore nell’espletamento delle sue funzioni pubbliche e conseguenze dannose del comportamento. L’abbattimento ad esempio di un cartello stradale comunale provocato dal revisore con la propria autovettura nell’accedere al municipio da luogo ad una responsabilità civile verso il Comune mentre un parere mal formulato su un piano finanziario può provocare un danno erariale.
La responsabilità dei revisori assume una connotazione penale qualora nello svolgimento della loro attività trasgrediscano a dei doveri di ufficio che si configurano in una violazione dell’ordinamento giuridico penale.
8, NUOVE PROSPETTIVE PER L’ATTIVITÀ DI REVISIONE NEGLI ENTI LOCALI
II legislatore con l’istituzione di questo organo ausiliario ha voluto affidare alle amministrazioni comunali e provinciali uno strumento che assicuri il buon andamento dell’azione amministrativa senza soffermarsi sull’atomismo delle singole operazioni che vengono eseguite. La validità dell’operato dell’istituto di cui si discute viene confermata e proiettata nel futuro dalla estensione ad altri enti locali della normativa sui revisori contabili con l’art. 12 bis del decreto legge 18 gennaio 1993, n. 8, convertito con modificazioni nella legge 19 marzo 1993, n. 68.
La funzione dei revisori avrà modo di esplicarsi più compiutamente nei prossimi anni in cui gli enti locali usciranno dal ruolo di enti erogatori di spesa e riacquisteranno la qualità di enti impositori di tributi per il funzionamento dei servizi d’istituto. Infatti il quadro legislativo di attuazione della legge 421/92 in materia di finanza locale dovrebbe far venire meno quell’aspetto di provvisorietà delle risorse comunali, che precedentemente erano condizionate alla determinazione delle somme trasferite dallo Stato per cui si potrà attivare finalmente una vera programmazione pluriennale a livello locale.
Questa nuova impostazione finanziaria dei Comuni sarà facilitata anche dal sistema elettorale introdotto dalla legge n. 81 del 1993 che assicurerà agli enti locali governi stabili.
Le modalità di gestione degli enti locali previste dalla 142 devono partire dalla formulazione del bilancio la cui normativa è regolata da un complesso di norme che, con un passaggio certamente epocale, stanno per essere modificate nel loro complesso con i decreti legislativi previsti al secondo comma dell’art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421. Ed è in questo contesto che si palesa la importanza della collaborazione continuativa dei revisori nella gestione dell’ente.
Senza attendere la prescrizione normativa della nuova impostazione del bilancio, fin d’ora il documento contabile va costruito in base alle entrate, e tramite le debite disgregazioni finanziarie può essere presentato per programmi di interventi e per singoli progetti, evidenziando nella relazione al bilancio per ogni intervento le risorse necessarie e i conseguenti costi.
I revisori possono dare un apporto innovativo alla attività amministrativa degli enti locali sollecitando l’introduzione sistematica di un controllo economico della gestione partendo da un aggiornamento costante degli inventari, troppo spesso abbandonati in un ruolo ancellare, forse per l’insipienza di amministratori interessati alla realizzazione di interventi che danno un ritorno in termini politici.
Si deve evidenziare in molti casi, pur in presenza di inventari aggiornati, la mancata volontà di attivare le rilevazioni finanziarie unitamente a quelle di carattere patrimoniale non attivando cosi il necessario rapporto biunivoco tra le rilevazioni del momento decisorio, proprie della contabilità finanziaria, e le rilevazioni del momento di concretizzazione delle decisioni, proprie della contabilità patrimoniale.