Il nuovo ordinamento contabile e finanziario previsto dalla legge142/90 segna la svolta. Obiettivi e programmi alla prova. Margini più ampi per adattare le norme all’organizzazione interna. Ma anche più rischi per i funzionari. Un passo avanti nella trasparenza. Ancora da chiarire i compiti dei segretari.
Di Aldo De Castro (segretario generale Comune di Cervignano del Friuli)
La legge 8 giungo 1990 n. 142 nel ridisciplinare l’ordinamento contabile e finanziario degli enti locali detta alcuni princìpi innovativi negli articoli 54 e 55, ma rinvia il riordino della materia alla legislazione successiva, affermando all’articolo 59 la validità delle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore della legge, se compatibili con i princìpi della medesima legge.
Un primo esplicito riferimento all’attivazione del controllo di gestione viene fatto nell’articolo 57, comma), stabilendo che lo statuto dell’ente può prevedere forme di controllo interno della gestione: in questo contesto l’attivazione del controllo interno rappresenta soltanto una delle opzioni proposte dalla legge 142/90 che l’ente locale può prevedere nello statuto e quindi disciplinarle nel regolamento di contabilità.. Questa normava coordinata con altre della stessa legge 142/90 che prevedono la predisposizione di programmi, l’attribuzione dei compiti gestionali ai funzionati, la rilevazione dei dati consuntivi mediante contabilità economica (anche questa facoltativa) e la valutazione sull’efficacia e sulla efficienza dell’azione condotta, norme che introducono elementi di carattere economico nella gestione dell’ente locale.
Per completare il quadro normativo previsto dalla legge 142/90 il legislatore è intervenuto con la legge 23ottobre 1992 n. 421, che all’articolo 2 estende a tutto l’arco del settore pubblico diversi princìpi già contenuti nella legge 142/90 e all’articolo 4 detta i princìpi di attuazione degli articoli 54 e 55 della stessa legge 142/90 in materia tributaria e contabile, demandando all’autorità governativa la potestà di assumere i conseguenti atti normativi aventi forza di legge. Con queste leggi si assiste ad un progressivo restringimento dell’area regolata esclusivamente dal diritto pubblico nella gestione degli enti pubblici e ad una contestuale evoluzione verso moduli propri della disciplina privatistica.
La nuova impostazione organizzativo-contabile degli enti locali è stata varata con il decreto legislativo 25 febbraio 1995 n. 77, che è un provvedimento quadro di indirizzo più che di dettaglio, con ben 124 articoli, tutti da assimilare e tradurre nella realtà di ciascun ente. Questo decreto, sulla scorta della legge delega, prevede il riordino dell’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, attenendosi ad una armonizzazione con i princìpi della contabilità generale dello Stato, tenendo a mente le esigenze del consolidamento dei conti pubblici ed introducendo gradualmente in tutti gli enti un sistema di contabilità economica per la determinazione dei costi e degli ammortamenti dei servizi. Si tratta di una vera svolta delle modalità di gestire per gli enti locali: una svolta che la legge 142/90 aveva anticipato e che dobbiamo ancora concretizzare, dato che la legge n. 81 sulla elezione diretta del sindaco da parte dei cittadini ha aperto nuovi orizzonti nella governabilità degli enti locali. Ci viene chiesto ancora una volta dopo la legge 142/90 uno sforzo di conversione e di adattamento, la cui portata va ancora ben inquadrata.
In materia contabile, il potere regolamentare assegnato agli enti locali ha margini più ampi e significativi rispetto agli altri regolamenti, margini tali da permettere un vero adattamento delle norme alle varie dimensioni ed organizzazioni interne che hanno i singoli enti: si tratta di una sfida che va accettata, di un’occasione che non va sprecata. Dovremmo saper rifiutare la logica del regolamento tipo copiato approfittando della proroga al 30 giugno 1996 fissata dalla legge 539/95 per l’approvazione del regolamento di contabilità: mi rendo perfettamente conto che non ci si può improvvisare legislatori, ma è evidente che la potestà regolamentare accanto alla potestà statutaria è una delle potenzialità più significative degli enti locali, inoltre è da tener presente che con l’approvazione del regolamento di contabilità, oltre le norme abrogate dall’articolo 123 del decreto legislativo n. 77, vengono meno tutte quelle norme della previgente legislazione abrogate dall’articolo 64 della legge n. 142, ma rimaste applicabili sussidiariamente in base alla previsione dell’ultimo comma dell’articolo 59 della stessa legge 142/90.
Ed è soprattutto nel regolamento di contabilità che va ricercato e trovato il delicato equilibrio tra i compiti di indirizzo e quelli di gestione, equilibrio che negli statuti è stato affermato sempre a livello teorico, come nella legge 142/90. L’auspicata riparazione, enunciata dai testi di legge degli ultimi anni diventa oggi una reale possibilità: ma se non la si costruisce su equilibri accettabili, può solo far sorgere nuovi conflitti. Le norme richiedono sempre più al dipendente di compromettersi con prestazioni di legittimità procedurali a livello giuridico e contabile, che possono portare il singolo dipendente davanti a responsabilità non sufficientemente chiarite o comunque tali da preoccuparlo. La struttura organizzativa comunale, nel trovarsi a gestire questa nuova autonomia, rischia infatti di rincorrere l’autodifesa con una fuoriuscita dalle responsabilità legate al perseguimento in prima istanza degli indirizzi politico-amministrativi.
Nessuno vuol disconoscere che si va ampliando l’area di rischio per funzionari, chiamati a maggiori compiti di responsabilità, ma va pur evidenziato che tra queste responsabilità deve essere data preminente attenzione, o almeno di pari spessore, agli obiettivi fissati dall’amministrazione, rispetto la mera legittimità delle procedure. Gli amministratori non possono trovarsi una struttura organizzativa assillata dalle responsabilità tecnico-giuridiche e meno sensibile alle responsabilità verso gli amministratori locali, verso il loro programma, verso le esigenze della comunità locale pagante.
L’autonomia impositiva locale, che ha soppiantato in questi ultimi anni l’impostazione ventennale dei bilanci basati su risorse prevalentemente trasferite, obbliga l’amministrazione ad un’attenzione crescente verso gli enti, che nel loro insieme riversano risorse significative all’ente locale. Da parte della struttura burocratica, questa attenzione deve manifestarsi verso i programmi degli amministratori, che nessun può negare essere i rappresentanti legali della comunità locale. Il decreto legislativo n. 77 non lascia spazio nel bilancio alle statuizioni dei cosiddetti obiettivi politici, e non sono supportati da reali finanziamenti e che rappresentano una mera proiezione del programma politico: questa è la diretta conseguenza dell’esplicitazione del principio della veridicità del bilancio, che nella pregressa legislazione era sottointesa, ma non codificata.
Inoltre, l’autonomia gestionale assegnata ai responsabili dei servizi obbliga sempre più gli amministratori locali a rendere espliciti e dettagliati i loro programmi, il che è già un pezzo significativo della rivoluzione in atto.
Per converso i responsabili di servizio sono obbligati ad attenersi sempre più agli obiettivi amministrativi, al di là delle giuste cautele per il rispetto delle procedure. Siccome i responsabili dei servizi rispondono del raggiungimento degli obiettivi, che sono fissati da altri, avendo a disposizione delle risorse, anche queste decise da altri, perché il sistema possa funzionare ed i responsabili dei servizi siano motivati nel raggiungimento degli obiettivi è necessario che i funzionari partecipino fin dall’inizio alla predisposizione del bilancio e che la bozza di. bilancio sia il risultato di un impegno congiunto fra giunta e struttura tecnico-amministrativa. L’amministrazione deve quindi verificare con la struttura quali obiettivi generali, contenuti nel suo programma, sono traducibili in obiettivi operativi, da riportare nella relazione programmatica e da inserire nel bilancio. Inoltre gli obiettivi devono essere definiti con molta precisione, perché chi ha scelto l’obiettivo, in assenza di una sua buona formulazione, può trovarsi a consuntivo con un risultato diverso da quello atteso.
Individuati gli obiettivi che si vogliono raggiungere, si deve enucleare, al di là degli schemi gerarchici piramidali, un responsabile del loro raggiungimento, al quale competerà il coordinamento di lavoratori appartenenti anche ad unità operative diverse dalla propria, ma coinvolte nel progetto. Il responsabile del progetto deve formulare il parere di fattibilità dello stesso, evidenziandone tutti gli adempimenti necessari per la sua realizzazione, nonché la tempistica dello stesso.
Gli amministratori non puntano a togliersi dalle spalle il peso delle responsabilità che sanno di avere, masi aspettano un’applicazione delle norme che metta al primo posto la cultura dell’obiettivo e del risultato da raggiungere e non del timore verso presunte illegittimità formali o procedurali.
Per un miglior utilizzo delle risorse a disposizione si devono attivare procedure lavorative die contengano sistemi razionali di coordinamento delle unità lavorative, che evitino duplicazioni di analoghi adempimenti, che comportino il superamento del concetto di competenza intesa come compiti staticamente attribuiti ad un ufficio, e nell’ambito dell’ufficio ad un dipendente, per recepire il concetto di competenza intesa come attitudine professionale personale.
Il decreto legislativo n. 77 all’articolo 11 prevede che questa individuazione venga effettuata dall’organo esecutivo successivamente all’approvazione del bilancio, ma prima dell’inizio dell’esercizio: nel contempo vanno affidate ai responsabili dei servizi le dotazioni finanziarie necessarie per il raggiungimento degli obiettivi. Per rendere più agevoli queste operazioni, ad integrazione delle ripartizioni del bilancio previste dall’articolo 7, si possono ulteriormente graduare le risorse dell’entrata in capitoli, nonché i servizi e gli interventi della spesa rispettivamente in centri di costo e in capitoli. Questa operazione, definita “piano esecutivo di gestione”, è obbligatoria per gli enti locali che hanno una popolazione superiore a 20.000 abitanti, ma dovrebbe essere fatta propria da tutti gli enti, perché è tramite il piano esecutivo di gestione che il bilancio da strumento autorizzativo diviene uno strumento di gestione.
Per garantire il raggiungimento degli obiettivi programmati, la correttezza e l’economicità nell’utilizzo delle risorse pubbliche, gli enti locali attiveranno il controllo di gestione previsto dall’articolo 39 del decreto legislativo n. 77. Con la nuova normativa, dato che anche gli enti locali sono un’azienda, il controllo di gestione va posto in essere da tutti gli enti e si individua nella procedura diretta a verificare lo stato di attuazione degli obiettivi programmati e la funzionalità dell’organizzazione dell’ente, l’efficacia, l’efficienza e il livello di economicità nell’attività di realizzazione dei predetti obiettivi: il controllo di gestione ha per oggetto l’intera attività amministrativa e consente anche la verifica dell’andamento di particolari progetti. Mettere sotto controllo la gestione dell’ente in quest’ottica significa mettere a nudo i problemi che si registrano per cercare soluzioni agli stessi che siano coerenti. Tali verifiche si attuano attraverso l’analisi delle risorse acquisite e la comparazione dei costi sostenuti con la qualità e la quantità dei servizi erogati.
Il controllo di gestione ha anche il compito di garantire l’imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione, nonché la trasparenza dell’azione amministrativa, in quanto l’azione dell’ente deve essere rivolta a soddisfare le attese dell’intera comunità e non deve ritenere giusto solo ciò che gli interessa.
Sull’impostazione del controllo digestione il decreto legislativo n. 77lascia spazio alla potestà regolamentare di ciascun ente: per avere la certezza che esso non venga subito come Un’ingerenza nella propria attività da parte di un altro servizio, l’attivazione del controllo di gestione dovrà essere preceduta da un lavoro collegiale di confronto fra amministratori e funzionari per individuare di concerto quali modifiche organizzative si rendano necessarie per passare da un sistema di lavoro basato sulla competenza funzionale ad un sistema volto al raggiungimento dei risultati.
Per le modalità di svolgimento di questo controllo viene fatto esplicito riferimento alla normativa prevista dall’articolo 20, comma 2, del decreto legislativo n. 29 e successive modificazioni. Il decreto legislativo n. 77 prevede un complesso di procedure del controllo di gestione suddiviso in tre fasi, che comportano:
a) la predisposizione di un sistema dettagliato di controllo in cui vengono individuati gli obiettivi da analizzare;
b) la raccolta dei dati sui risultati raggiunti, sui costi sostenuti e sui proventi accertati;
c) la valutazione dei risultati ottenuti e la formulazione di eventuali suggerimenti.
Si tratta, quindi, di una metodologia finalizzata ad aiutare gli organi di direzione politica e quelli di gestione amministrativa a governare meglio la cosa pubblica.
L’ufficio a cui viene assegnata la funzione di controllo di gestione verifica se i comportamenti sono consoni al raggiungimento degli obiettivi e fornirà le conclusioni dell’attività svolta agli amministratori, per analizzare lo stato di attuazione degli obiettivi programmati: tali conclusioni vanno comunicate anche ai dirigenti affinché siano in possesso degli elementi necessari per valutare l’andamento della gestione dei servizi di cui sono responsabili. Si tratta di un controllo concomitante che serve ad intercettare tempestivamente i comportamenti difformi dal raggiungimento degli obiettivi e dal rispetto delle norme.
La responsabilità del funzionario in presenza di un mancato obiettivo va meglio definita, perché deve avere un giusto rilievo, a meno che non si voglia con un’interpretazione involutiva far ricadere questa responsabilità sul singolo assessore o meglio sul sindaco o sul presidente, anche nel caso in cui l’apparato lavori in tutt’altra direzione.
Il regolamento di contabilità potrà definire particolari cadenze periodiche per la presentazione del referto sul controllo di gestione, ma l’attività dei servizi di controllo interno a nostro parere dovrà svolgersi durante l’intero arco dell’esercizio finanziario. Dato che la Sezione enti locali della Corte dei conti e le Delegazioni regionali della stessa sono state investite dall’articolo 3, comma 7, della legge 14 gennaio 1994 n. 20 della potestà di effettuare valutazioni sul funzionamento dei controlli interni, sarà opportuno che l’ufficio che curerà il controllo di gestione predisponga una relazione sui risultati raggiunti nel corso di un esercizio finanziario. Il controllo di gestione viene svolto facendo riferimento ai singoli servizi ed agli eventuali centri di costo, ove individuati, verificando in maniera complessiva e per ciascun servizio i mezzi finanziari acquisiti, i costi dei singoli valori produttivi, nonché i risultati ottenuti, sia in termine di qualità e di quantità che in termini di ricavi l’ufficio incaricato del controllo di gestione deve operare in posizione di autonomia rispetto gli altri uffici e rispondere esclusivamente agli organi di direzione politica.
Le difficoltà evidenziate dagli enti locali nella prima applicazione dei princìpi contenuti nel decreto legislativo n. 77 e quelle incontrate dal Governo nella predisposizione del regolamento previsto dall’articolo 114 dello stesso decreto, hanno indotto il Governo ad usare la decretazione d’urgenza per differire all’esercizio 1997, entrata a regime del nuovo bilancio per gli enti locali; a tal fine gli articoli 7 e 8 del decreto legge 28 agosto 1995n. 357 hanno previsto uria nuova scaletta temporale degli adempimenti di applicazione del decreto legislativo n. 77 e le modalità di predisposizione del bilancio di previsione per l’esercizio 1996. Il Governo ha però disposto al punto d) dell’articolo 8 che la giunta, entro il termine di sette giorni successivi alla deliberazione del bilancio1996, provvede ad individuare per ciascun responsabile di servizio i capitoli che sono affidati alla sua gestione, affinché questi possa procedere autonomamente agli atti di impegno e di liquidazione sulla scorta del programma amministrativo.
Al riguardo si deve eccepire che chi ha esperienza di vita pubblica sa bene che un simile termine è dì fatto impraticabile, anche da urta giunta efficiente, considerando che questo è il primo anno di sperimentazione della nuova normativa. Lo scopo teleologico di questa disposizione, riproposta all’articolo 9 del decreto legislativo ottobre 1995 n. 444, che reitera il decaduto decreto 357, è di fornire a tutti gli enti per l’esercizio 1996 uno strumento di gestione alternativo al piano esecutivo di gestione: il legislatore, però, nel convertire il decreto con la legge 20 dicembre 1995 n. 539 ha stabilito che, nel caso in cui la deliberazione di attribuzione dei capitoli ai funzionari non sia stata adottata la competenza ad assumere gli atti di gestione rimane attribuita alla giunta dell’ente locale.
Da più parti si è eccepito che, con questa modifica al testo del decreto legge, il legislatore con un comportamento involutivo abbia voluto cancellare i princìpi della 142/90 che prevedevano la separazione fra attività di indirizzo e controllo e attività di gestione.
A nostro parere, con questa norma il legislatore ha voluto solo evidenziare la necessità di fissare un termine ristretto per designare i funzionari incaricati a dar corso agli atti di gestione, dato che il bilancio viene approvato dopo l’inizio dell’esercizio finanziario e nel contempo fissare una norma che dia la possibilità alla giunta, ma con il solo esercizio 1996, di rimanere la destinataria di quelle funzioni qualora, dati i tempi ristretti, non si sia potuto predisporre il bilancio con tutti i nuovi criteri e non si siano individuati i singoli funzionari responsabili della gestione di ogni capitolo del bilancio.
Dato che, però, la norma non pone alcun limite alle giunte, sorge il sospetto che esse potrebbero anche non assegnare la maggioranza dei capitoli oppure, con un’interpretazione più benevola, rinviare ad un momento successivo l’assegnazione dei capitoli per poter meglio riflettere sui programmi approvati dal Consiglio.
Con questa modifica il legislatore ha anche voluto spingere gli enti locali ad approvare i bilanci quanto prima, dato che il nuovo ordinamento contabile non prevede la possibilità di ricorrere all’esercizio provvisorio prima dell’adozione del bilancio: ciò tuttavia non affievolisce il fatto che questa norma deroga surrettiziamente al principio della separazione fra compiti di indirizzo e compiti di gestione introdotto dalla 142/90 ed esteso a tutte le pubbliche amministrazioni dal decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29.
Le norme ora richiamate ci fanno riflettere su quali possibilità hanno di effettuare un controllo di gestione i cosiddetti “comuni minori”: intendo riferirmi ai comuni con meno di 10.000 abitanti, che rappresentano la maggioranza, costretti ad operare in una precarietà spesso insostenibile, con limitazioni alla pianta organica non solo quantitative, ma soprattutto qualitative, dato che per questi Comuni è ormai anacronistica la limitazione di non poter annoverare nella dotazione organica figure dirigenziali, che sono invece più consone agli obblighi ed alle responsabilità introdotte per legge. La parola dirigente nei piccoli comuni deve intendersi riferita all’impiegato preposto alla funzione, in quanto è impensabile che tutte le funzioni “dirigenziali” nel piccolo comune vengano accentrate nella figura del segretario dell’ente, considerando anche il fatto che gran parte dei comuni più piccoli svolgono li servizio di segretaria comunale in convenzione con altri comuni.
Il regolamento di contabilità dovrà puntualizzare i compiti del segretario dell’ente nel contesto delle funzioni del controllo di gestione in quanto, spettando a lui ai sensi dell’articolo 52, comma 3, della legge 142/90 la sovraintendenza allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti, è il soggetto predestinato a coordinare i servizi di controllo.
C’è il sospetto che il legislatore non sia stato debitamente messo al corrente dello stato di disagio in cui si trovano ad operare i comuni minori dopo l’emanazione della legge 142/90 o che con queste norme, facendo leva sulla complessità degli obblighi e delle procedure, punti implicitamente a spingere i piccoli comuni alle unioni ed alle fusioni, ipotizzate dalla legge142/90, ma non recepite dagli amministratori.