La riqualificazione delle autonomie avviata dalla legge 142/90 completa il passaggio da un’organizzazione a sovranità limitata a un sistema in cui Comuni e Province diventano soggetti giuridici a pieno titolo. Introdotti principi tipicamente aziendalistici
di Osvaldo De Castro
II 1997 doveva essere l’anno di entrata a regime del nuovo ordinamento contabile e finanziario, approvato dal decreto legislativo 25 febbraio 1995 n. 77 e successive modificazioni, ma il rinvio del termine per l’adeguamento dei regolamenti di contabilità e la facoltà data agli enti locali di utilizzare per l’esercizio 1997 ancora il modello di bilancio previsto dal decreto presidente della Repubblica 19 giugno 1979 n. 421 hanno rinviato di fatto di un anno queste aspettative. Questo rinvio va correlato con le vicende del disegno di legge sulla semplificazione amministrativa presentato dal ministro Bassanini che nel testo approvato dal Senato contiene alcune modifiche a diversi istituti previsti nel Dlgs n. 77.
Il disegno di legge Bassanini non prevede però modifiche alle norme che dettano i principi per lo svolgimento del controllo di gestione, introdotto nell’ordinamento giuridico degli enti locali dall’articolo 57 ultimo comma della legge 8 giugno 1990 n. 142, parte dal presupposto che in una società che crea un’organizzazione per produrre dei beni o per erogare dei servizi i controlli non possono essere eliminati, ma devono essere più esaustivi per dare la certezza che l’attività sottoposta ad un controllo non necessiti di ulteriori vagli per essere riconosciuta perfetta.
Il controllo di legittimità sugli atti, comunque esercitato, è necessario in una società di diritto per verificare che la singola fattispecie amministrativa sia conforme alla fattispecie astratta prevista dalla norma; ma questo controllo non è sufficiente per dichiarare positivo l’operato di un’amministrazione.
Tuttavia l’importanza data dalla dottrina e dalla giurisprudenza alla regolarità formale del singolo atto amministrativo ha comportato nel passato una filosofia che individuava nell’atto amministrativo il fulcro dell’attività della pubblica amministrazione ed un conseguente sviamento dell’attenzione verso i risultati ottenuti, mettendo in ombra gli assetti e mancando nell’insieme una cultura della valutazione di tali risultati. Il legislatore aveva constatato l’insufficienza dei controlli di legittimità sugli atti per valutare l’operato di un’amministrazione pubblica ed aveva fatto scienza della necessità di introdurre nell’ordinamento giuridico forme di valutazione sulla qualità dell’azione amministrativa, in quanto l’esperienza dimostra che dietro singoli atti legittimi, solo dal punto di vista formale, si possono nascondere sia risultati qualitativamente scarsi che comportamenti illeciti. Ne è conseguita una progressiva riduzione dei controlli di legittimità, che il testo unico del 1934 estendeva indistintamente a tutti gli atti, anche perché l’eccesso di controlli limita la responsabilizzazione di chi emana gli atti e burocratizza l’attività di controllo. Diminuendo il numero dei controlli, quelli che residualmente sussistono devono essere meno superficiali.
L’attività degli enti locali, per la complessità dei compiti ad essi affidati è regolata da diverse norme che si interconnettono nel tempo, ma non sempre armonicamente, perché esse sono frutto di distinti orientamenti politici: ne deriva una difficoltà diffusa a considerare l’ente locale come un ente paradigmatico, in quanto la sua realtà di funzionamento spesso è in contrasto con una prospettiva di dinamicità.
Per superare una prassi della gestione dell’ente locale che è derivata da queste implicazioni, il legislatore è intervenuto con la legge n. 142/90 e successive modificazioni che ha introdotto nell’ordinamento giuridico diversi principi innovativi, che per divenire operativi hanno necessitato dell’emanazione di successivi atti normativi sia a livello legislativo die a livello regolamentare, prevedendo al riguardo l’attribuzione di un nuovo valore normativo primario agli atti degli enti locali.
Ad oltre quarant’anni dall’emanazione della Costituzione questa legge ha preso atto che l’autonomia degli enti locali è un principio forte che va rispettato, anche se si è in presenza di un’autonomia eteronoma, in quanto è la legge che ne fissa i limiti: con la legge n. 142 questi limiti vengono patentemente ampliati e coassialmente gli amministratori degli enti locali vengono investiti di una maggiore responsabilità. Un circuito virtuoso dell’agire pubblico e del suo controllo è incardinato nell’estensione delle autonomie e nell’autoamministrazione delle comunità locali, nel rigore degli operatori pubblici e nel senso civico dei cittadini.
Sulla scia delle innovazioni introdotte dalla legge n. 142 e dalla legge 7 agosto 1990 n. 241, sul procedimento amministrativo ed il diritto di accesso agli atti amministrativi (leggi ambe due finalizzate all’applicazione del principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione), una svolta culturale nella gestione della “cosa” pubblica di non poco conto è stata rappresentata dalla legge 23 ottobre 1992 n. 421 che ha delegato il Governo ad emanare provvedimenti legislativi in materia di pubblico impiego e di finanza territoriale, nonché nel settore sanitario ed in quello previdenziale, per giungere alla razionalizzazione e revisione delle normative di tali settori.
Il successivo decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29 sulla razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e sulla disciplina in materia di pubblico impiego all’articolo 20 introduce per tutte le amministrazioni pubbliche l’istituto dei nuclei di valutazione con il compito di verificare, mediante valutazioni comparative dei costi e dei rendimenti, la realizzazione degli obiettivi e l’economicità nell’utilizzo delle risorse. Si deve rilevare che nell’insieme l’attività degli enti locali, prima del processo di riforma avviato dalla legge n. 142, era poco attenta ai concetti tipicamente aziendalistici di efficacia, efficienza ed economicità.
In questo processo di rivisitazione delle normative nel settore degli enti locali un ruolo non secondario è rivestito dal nuovo ordinamento contabile e finanziario. Il Dlgs. n. 77, che trova la sua legittimazione nell’articolo 4 della legge n. 421, non è solo un nuovo modo di classificare i movimenti finanziari degli enti locali, come aveva comportato l’applicazione del Dpr n. 421, ma implica un nuovo modo di gestire l’ente locale sulla scorta dei principi contenuti “negli articoli 51, 55 e 57 della legge n. 142.
La necessità di predisporre regolamenti attuativi del Dlgs. n. 77 meditati ed effettivamente consoni alle proprie esigenze ha suggerito un rinvio del termine entro cui gli enti locali devono adeguare i propri regolamenti di contabilità; questo rinvio ha consentito di dar respiro alle amministrazioni locali in un terreno estremamente delicato com’è appunto quello dell’introduzione di nuovi sistemi contabili e gestionali, che possono rendere più razionali i procedimenti di decisione: altrimenti le amministrazioni avrebbero dovuto fare una corsa contro il tempo, senza avere la possibilità di riflessioni e sperimentazioni su quanto proposto.
Le singole amministrazioni nell’emanazione degli atti normativi secondari di propria competenza devono inserire, negli spazi lasciati liberi dalla legge all’autonomia normativa locale, norme che diano coreo alla tanto sentita necessità di sburocratizzazione dell’azione amministrativa, non deregolamentando la materia, ma fissando regole più snelle che disciplinino la vita dell’ente locale in coerenza con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico, ma in chiave più aziendalistica.
Uno degli aspetti qualificanti del Decreto legislativo n. 77 è la disciplina agli articoli 39, 40 e 41 dell’istituto del controllo di gestione, che sposta l’attenzione-nei procedimenti amministrativi dai singoli provvedimenti al risultato che esplica il procedimento: l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa, menzionate come affermazioni di principio dall’articolo 57 della legge n. 142, devono essere misurate sulla base dei risultati raggiunti e non secondo la mera legittimità di ogni singolo atto.
Siamo in presenza dell’introduzione nell’ente locale del controllo di gestione già sperimentato nelle aziende economiche: esso trova la sua giustificazione nella razionalizzazione delle scelte e nel miglioramento del funzionamento dell’ente, con la differenza che nelle aziende il risultato della gestione si misura in termini di profitti o di perdite, mentre negli enti pubblici nella qualità del soddisfacimento che si da alle necessità della comunità.
L’istituzione del controllo di gestione va inquadrata nel processo di riqualificazione delle autonomie locali avviato dalla legge n. 142: questo processo ha trovato un fertile terreno nei provvedimenti delegati che nel 1992 hanno riscritto la geografia della finanza locale che dal 1972 era caratterizzata dalla presenza emergente di trasferimenti erariali, che di fatto davano adito ad un clima di deresponsabilizzazione nell’uso delle risorse assegnate agli enti locali dallo Stato. Il controllo di gestione completa il passaggio di questi enti da un’organizzazione a sovranità limitata, disciplinata dalla legge comunale e provinciale del 1934, ad un sistema in cui comuni e province divengono soggetti giuridici a capacità piena, in attuazione della legge n. 142, che prevede l’emanazione di fonti normative da parte di ciascun ente locale per personalizzare negli spazi consentiti dalla legge il proprio corpo normativo.
Il controllo di gestione va attivato in un’ottica che considera l’ente locale un’azienda in cammino per realizzare le necessità dei suoi utenti e non un ente statico che eroga servizi predeterminati che vengono finanziati dai contribuenti. La valutazione dei risultati raggiunti va effettuata sulle modalità del loro raggiungimento e sulla loro qualità in termini di efficienza (rapporto nello spazio temporale a disposizione tra risultato raggiunto e risorse impiegate) e di efficacia (rapporto tra obiettivo prefissato ed obiettivo raggiunto).
Lo svolgimento del controllo di gestione con questi criteri è un’applicazione del principio di separazione dei compiti di indirizzo e controllo, che spettano agli organi elettivi, da quelli di gestione amministrativa, che spettano ai funzionari, principio contenuto nell’articolo 51 comma 2 della legge n. 142, anche se sull’argomento dopo cinque armi la legislazione non è del tutto stabilizzata.
La responsabilità del funzionario in presenza di un mancato obiettivo in questo nuovo contesto va meglio definita, perché deve avere un giusto rilievo, a meno che non si voglia con un’interpretazione involutiva far ricadere questa responsabilità sull’amministratore, anche nel caso in cui l’apparato lavori in tutt’altra direzione. La responsabilizzazione del funzionario nel raggiungimento degli obiettivi va incentivata coinvolgendolo nella predisposizione del bilancio fin dal momento della sua minutazione e facendolo partecipe delle scelte che vengono assunte.
L’applicazione del controllo di gestione negli enti locali è un atto dovuto dopo la rivisitazione dei regolamenti di contabilità: questo istituto, come tutte le novità, pone una serie di problemi agli operatori, non sempre di facile soluzione. Mettere sotto controllo la gestione dell’ente significa analizzare le abitudini che si sono con solidate e mettere a nudo i problemi che si registrano per cercare soluzioni che siano coerenti. Il controllo di gestione e uno strumento di verifica dell’attività amministrativa che si sviluppa tramite processi di analisi che hanno contenuti a preminente connotazione privatistica. Il controllo di gestione si individua nella procedura diretta a verificare lo stato di attuazione degli obiettivi programmati e la funzionalità dell’organizzazione dell’ente, l’efficacia, l’efficienza e il livello di economicità nell’attività di realizzazione dei predetti obiettivi: il controllo di gestione ha per oggetto l’intera attività e consente anche la verifica dell’andamento di particolari progetti.
Con il controllo di gestione si tende a recuperare quelle energie che altrimenti vanno disperse per inefficacia ed inefficienza. Questo controllo non deve limitarsi ad effettuare una verifica dell’impatto che crea sull’esterno l’operato dell’amministrazione, ma deve essere concomitante all’azione amministrativa, al fine di poter incidere tempestivamente su eventuali aspetti turbativi dei programmi prefissati, aspetti che si sviscerano inaspettatamente nel corso della gestione, o per poter modificare i programmi qualora si evidenzino in essi dei particolari non più rispondenti alle necessità che si debbono soddisfare. Queste verifiche si attuano attraverso l’analisi delle risorse acquisite e la comparazione dei costi sostenuti con la qualità e la quantità dei servizi erogati.
Perché questo controllo rappresenti una funzione facilmente consultabile e fattiva è necessario che l’azione amministrativa venga articolata per progetti che rappresentano la cantierazione dei programmi contenuti nel bilancio, al trimenti i report del controllo di gestione registreranno l’episodicità, se non addirittura l’improvvisazione, nella gestione dell’ente. Il controllo di gestione è una procedura più evoluta del controllo degli equilibri finanziari del bilancio ventilati nella legge comunale e provinciale e codificati dall’articolo 1 bis del decreto legge 1 luglio 1986 n. 318 convertito nella legge 9 agosto 1986 n. 488, che è stato recepito nell’articolo 36 del Dlgs. n. 77, disponendo che gli enti locali durante la gestione e nelle variazioni di bilancio rispettino il pareggio finanziario e tutti gli equilibri stabiliti per la copertura delle spese correnti e per il finanziamento degli investimenti: il legislatore con queste espressioni ha voluto garantire la gestione dell’ente locale da quelle situazioni patologiche denominate “debiti fuori bilancio”, sviscerate nel successivo articolo 37, o da quelle altre situazioni che si possono definire “debiti sommersi” individuabili in un eccesso di spesa su un impegno regolarmente assunto, in un’entrata che si e realizzata in misura minore a quella prevista o che addirittura non si è realizzata oppure in una sopravvenienza passiva in conto residui ma che non è compensabile con altra maggior entrata o con parallela minor spesa.
Non è da confondere con il controllo di gestione l’attività svolta dal responsabile del servizio finanziario, a cui compete l’onere della verifica periodica dello stato di accertamento delle entrate e di impegno delle spese, nonché della segnalazione al sindaco, al segretario e all’organo di revisione l’eventuale costituirsi di situazioni che possono pregiudicare l’equilibrio del bilancio.
Il controllo di gestione ha anche il compito di garantire l’imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione, nonché la trasparenza dell’azione amministrativa, in quanto l’azione dell’ente deve essere rivolta a soddisfare dell’intera comunità e non deve ritenere giusto solo ciò che interessa agli amministratori in un determinato momento.
Sull’impostazione del controllo di gestione il decreto legislativo n. 77 lascia molto spazio alla potestà regolamentare di ciascun ente: nell’insieme il legislatore delegato agli articoli 39 e seguenti ha lasciato dei rilevanti margini di discrezionalità per delineare e focalizzare il modello del controllo di gestione che meglio può rispondente alle peculiari esigenze di ciascun ente. Comunque l’impostazione del controllo di gestione corrispondente alle specifiche condizioni organizzative ed ambientali richiede un’oculata valutazione delle varie logiche enucleate dalla dottrina alla luce dei risultati concretamente ottenuti su diversi campioni.
Per avere una certezza che il controllo di gestione non venga subito come un’ingerenza nella propria attività, l’attivazione del controllo di gestione deve essere preceduta da un lavoro collegiale di confronto fra amministratori e funzionari per individuare di concerto quali modifiche organizzative sono necessarie per passare da un sistema di lavoro in cui il raggiungimento degli obiettivi viene condizionato dalla formale legittimità dei singoli atti, indipendentemente dalla qualità dei risultati, ad un sistema in cui va gratificata maggiormente la qualità dei risultati e la liceità dei procedimenti rispetto il perfezionamento dei singoli atti.
Per facilitare l’azione del controllo di gestione, e per una maggior responsabilizzazione dei funzionari, si suggerisce di nominare all’interno della struttura burocratica un responsabile per ciascun progetto: ciascun responsabile di progetto va individuato nella persona che è a capo del settore cui è destinato il progetto; questa figura può essere scelta anche al di fuori delle gerarchie esistenti all’interno del settore, purché assicuri la capacità professionale di portare a termine il progetto. Il responsabile del progetto studierà l’ingegnerizzazione del progetto stesso e coordinerà l’operato di tutti i settori coinvolti nella sua realizzazione: egli svolgerà un controllo concomitante all’attuazione del progetto che serve ad intercettare tempestivamente i comportamenti difformi dal raggiungimento degli obiettivi e del rispetto delle norme, riferendone al segretario e all’amministrazione.
Al segretario o al suo collaboratore nella direzione dell’ente, ove previsto, spetterà la sovrintendenza sull’attività gestionale dei funzionari, affinché la stessa si svolga nel rispetto delle norme e delle direttive impartite dall’amministrazione; all’amministratore invece spetterà la vigilanza ed il controllo che l’operato della struttura amministrativa sia consono ai programmi approvati.
Il controllo di gestione va svolto facendo riferimento ai singoli servizi ed agli eventuali centri di costo, ove individuati, verificando in maniera complessiva e per ciascun servizio i mezzi finanziari acquisiti, i costi dei singoli fattori produttivi, nonché i risultati ottenuti sia in termini di qualità e di quantità che in termini di ricavi. Il Dlgs. n. 77 prevede una procedimentalizzazione del controllo di gestione in tre fasi che comportano:
a)la predisposizione di un sistema dettagliato di controllo in cui vengono individuati gli obiettivi da analizzare;
b)la raccolta dei dati sui risultati raggiunti, sui costi sostenuti e sui proventi accertati;
e) la valutazione dei risultati ottenuti e la formulazione di eventuali suggerimenti.
Il legislatore ha giustamente messo in evidenza che vengano prioritariamente individuati gli obiettivi che si devono analizzare con il controllo di gestione, perché nella realtà degli enti locali è molto difficile monitorare tutte le attività se si vuole avere un referto valido e utile, in quanto le attività sono molteplici e vengono svolte con modalità difformi. Si tratta di una metodologia finalizzata ad aiutare gli organi di direzione politica e quelli di gestione amministrativa a governare meglio la cosa pubblica.
Il regolamento di contabilità potrà definire particolari cadenze periodiche per la presentazione del referto sul controllo di gestione, ma l’attività dei servizi di controllo interno dovrà svolgersi durante l’intero arco dell’esercizio finanziario.
Sarà opportuno che la struttura che curerà il controllo di gestione predisponga una relazione sui risultati raggiunti nel corso di ciascun esercizio finanziario. Pertanto il controllo di gestione va inteso come un complesso di attività che attraverso l’elaborazione di batterie di indicatori tende a favorire un utilizzo ottimale delle risorse (umane, finanziarie, strumentali) per il raggiungimento dì determinati risultati.
Per facilitare i report sarà opportuno che l’ente attivi, accanto alle scritture contabili finanziarie, anche delle scritture con valenza economica, che sono più consone per leggere i risultati consuntivi: ciò anche nell’ottica di avvicinare il rendiconto dell’ente al bilancio delle aziende economi che.
Per un buon esito del controllo di gestione riveste particolare importanza la scelta che ciascun ente deve fare ai sensi dell’articolo 74 del Dlgs. n. 77 nell’adottare il sistema di contabilità economica che ritiene più idoneo per le proprie esigenze. Questa scelta può venir considerata come l’opportunità di creare un sistema contabile avanzato che permetta rilevazioni quotidiane dei fatti gestori sotto l’aspetto finanziario, economico e patrimoniale, aspetti nei quali si diversificano i documenti costituenti il rendiconto. Un ente può anche adottare un sistema di contabilità economica minimale che però non assicura la possibilità di effettuare delle rilevazioni infrannuali in termini di efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa e che limita la formulazione dei conti economici di dettaglio per servizi o per centri di costo, auspicati dall’articolo 71 del Dlgs. n. 77.
La struttura incaricata della valutazione della gestione deve operare in posizione di autonomia rispetto gli altri uffici e rispondere esclusivamente agli organi di direzione politica: essa verifica se i comportamenti sono consoni al raggiungimento degli obiettivi e fornirà le conclusioni dell’attività svolta agli amministratori, perché possano analizzare lo stato di attuazione degli obiettivi programmati; tali conclusioni vanno comunicate anche ai dirigenti, affinché siano in possesso degli elementi necessari per valutare l’andamento della gestione dei servizi di cui sono responsabili.
Una scelta eminentemente discrezionale è rappresentata dall’individuazione dei soggetti che compongono la struttura alla quale è assegnata la funzione di valutazione della gestione: l’articolo 41 del Dlgs. n. 77 al riguardo fa un richiamo all’articolo 20 comma 2 del Dlgs. n. 29, il quale prevede che i nuclei di valutazione siano composti da esperti in tecniche di valutazione e nel controllo di gestione; la norma richiamata precisa che gli esperti possono essere anche interni all’amministrazione.
Si ritiene che nei comuni medio-piccoli il nucleo di valutazione possa essere composto da una terna di persone individuata nel segretario dell’ente, in un esperto designato dal sindaco e nel revisore o in un componente designato dal collegio dei revisori nei comuni più grandi: con questa composizione è assicurata sia la conoscenza della realtà comunale da parte del nucleo di valutazione che la professionalità dei suoi componenti.
Il contratto collettivo nazionale di lavoro nel comparto regioni ed enti locali attribuisce al competente servizio di valutazione del controllo interno anche il compito di monitorare e valutare sia i risultati raggiunti con i progetti-obiettivo, presentati per il miglioramento organizzativo dell’attività gestionale dell’ente, che le capacità individuali dei dipendenti per l’erogazione della parte di retribuzione collegata al raggiungimento dei risultati.
C’è il rischio che, con questa funzione attribuita al nucleo di valutazione, il controllo di gestione venga recepito dai funzionari come un nuovo controllo formale invece che come un supporto utile per gestire meglio. Non è opportuno alimentare le elucubrazioni sulla diversità concettuale fra nucleo di valutazioni e controllo interno di gestione in quanto le due dizioni usate dal legislatore individuano due funzioni complementari: il controllo di gestione è l’attività complessa con cui si effettua il monitoraggio di uno o più servizi svolti dall’ente, mentre il nucleo di valutazione è il soggetto giuridico che formula un parere sui dati forniti dal monitoraggio.
Siccome la finalità del controllo di gestione è principalmente quella di fornire un supporto agli organi politici, si pone il quesito sull’opportunità che gli enti locali si dotino di un numero di assessori corrispondente a quello massimo consentito dalla legge: questo problema è stato messo in evidenza di riflesso delle note vicende ondivaghe sulla composizione delle giunte. Nella filosofia della gestione dell’ente locale antecedente alla legge n. 142, in cui l’attività peculiare del controllo di gestione veniva spesso svolta dalla giunta, talvolta a scapito delle funzioni di indirizzo e controllo, aveva un senso l’esistenza di una giunta corposa in rapporto alle dimensioni demografiche dall’ente: ma nel momento attuale, in cui i compiti di gestione sono affidati ai funzionari e diversi enti ricorrono ad uno o più collaboratori particolari, utilizzando le facoltà attribuite dall’articolo 51 settimo comma della legge n. 142, sorge il dubbio che la composizione della giunta possa essere più contenuta in termini numerici.
Questa separazione dei ruoli, che e più o meno palesemente osteggiata da buona parte degli amministratori che hanno il timore di venir espropriati di alcune loro prerogative, è quanto mai utile per monitorare l’attività dell’ente ora che le amministrazioni hanno ricevuto il “carisma” della stabilità dopo l’emanazione della legge 25 marzo 1993 n. 81 sull’elezione diretta del sindaco.
C’è il timore che di fronte ai princìpi insiti nel nuovo ordinamento contabile e finanziario, i quali danno maggior rilevanza al raggiungimento degli obiettivi rispetto alle singole procedure, che sono strumentali per il conseguimento di questi obiettivi, qualcuno si attesti sulla legittimità formale di un singolo provvedimento, senza porre attenzione al fatto che il risultato raggiunto con il procedimento nel suo complesso è lecito: la difformità di un atto dal dettato normativo va riconsiderata in questo contesto ove l’espressione dei pareri sulle proposte di deliberazione sotto il profilo della legittimità, prevista dall’articolo 53 della legge n. 142, va riletta alla luce dei princìpi privatistici contenuti nel Dlgs. n. 77.
Si deve pertanto distinguere l’illecito amministrativo dall’illecito penale e dare una valenza diversa all’illecito amministrativo se lo stesso non lede interessi legittimi. In questa ottica, inoltre, la filosofia della propria competenza intesa quale attività istituzionalmente prestata sulla base di un inquadramento funzionale all’interno di un’organizzazione rigida deve intendersi superata e sostituita dal concetto di competenza riconosciuta quale preparazione e attitudine personale a svolgere professionalmente un compito. Per garantire l’avvio del controllo di gestione dovrà concludersi la ricognizione dei beni degli enti locali per procedere alla ricostruzione degli inventari (adempimento che doveva essere concluso entro il 31 dicembre ’96): questi adempimenti rappresentano un onere che dovranno sobbarcarsi interamente i funzionari, poiché al politico non interessa che l’opera da poco inaugurata sia stata denunciata al catasto e che la relativa consistenza patrimoniale venga annotata nell’inventario. Si deve puntualizzare che l’aggiornamento costante degli inventari sarà necessario per poter procedere al calcolo dei costi dei servizi erogati, perché senza conoscere questi costi non può essere fatto né il calcolo economico della gestione, né il controllo di gestione. Sarà quindi necessario che all’interno dell’organizzazione dell’ente vengano ben individuati i centri di costo e di ricavo, in modo da rendere i dati finanziari del bilancio dogli elementi economicamente valutabili ed il bilancio un documento leggibile, non solo da parte degli addetti del settore finanziario.